L'esperto rispondeRapporti di lavoro

Dipendente occupato all'estero

di Salvatore Servidio

La domanda

Società Italiana assume un dipendente residente in Croazia, si chiede se la società italiana debba assoggettare a tassazione Irpef e a contribuzione i compensi erogati dalla stessa al dipendente nei seguenti casi: 1) Lavoratore presterà la propria opera presso una stabile organizzazione sita in Germania della società italiana; 2) Lavoratore presterà la propria opera presso un cliente sito in Germania della società italiana.

Iniziando a delineare una plausibile risposta al quesito prospettato, occorre subito chiarire che nel caso di specie il dipendente della società italiana continua a risiedere in Croazia. Perciò non vanno però trascurati gli aspetti legali quando si stila un contratto con una persona la cui cittadinanza è legata a un Paese straniero, e dove questi continua a risiedere. Con riguardo ai contributi previdenziali e alle imposte, occorre considerare che se il lavoratore assunto dall’azienda italiana continuerà a risiedere e ad operare all’estero, in questo caso in un Paese diverso da quello della propria residenza, sia i contributi che le imposte per il reddito dallo stesso percepito andranno corrisposti nel Paese di lavoro e nel Paese di residenza. Allo Stato italiano invece non è dovuto nulla. Come versare tasse e contributi, si dovrà verificare in base alla normativa del Paese straniero chi è deputato a versare, se il lavoratore stesso o l’azienda. Spesso i versamenti sono addebitati alla società datrice di lavoro: in questo caso l’azienda italiana dovrà aprire una posizione aziendale nel Paese straniero (ma in Germania esiste già la staile organizzazione), e provvedere all’incombenza. Nel contratto di lavoro che lega azienda italiana e dipendente all’estero si può fare riferimento alla legislazione italiana in materia di lavoro, ma non è obbligatorio. Il richiamo a tale disciplina non vale comunque a privare il lavoratore della tutela offertagli dall’ordinamento di lavoro, cioè nel caso le norme dell’ordinamento straniero offrano maggiori tutele queste vanno applicate. Nel caso il dipendente vivesse in Francia, ad esempio, egli avrà diritto al “regime delle 35 ore”, in ogni caso. Dunque il richiamo dell’ordinamento italiano determina una doppia tutela, risultando vincolanti sia le norme di maggior tutela della disciplina locale (ad esempio, come si è visto, in materia di orario) sia quelle di maggior tutela di quella italiana (ad esempio, in materia di licenziamenti). Problema di non poco conto è dove pagare le imposte sul reddito dell’azienda. Quando si assume un dipendente dall’estero, infatti, un’azienda deve anche chiedersi se le radici che mette nel nuovo Paese non vadano a configurarvi una “stabile organizzazione”. In quel caso c’è l’obbligo per la società italiana di corrispondere le imposte sul reddito che la stessa percepisce nel Paese straniero. Così avviene nel caso prospettato di una stabile organizzazione in Germania della società italiana (c.d. principio della “forza di attrazione” della stabile organizzazione). Questo vincolo non sussiste nell’altra fattispecie in cui il lavoratore presterà la propria opera presso un cliente sito in Germania della società italiana, per le quali le incombenze faranno capo alla società in Italia (l’unità locale, infatti, è priva di autonomia giuridica, con funzione ausiliaria o preparatoria rispetto all'attività istituzionale dell'impresa. Dal punto di vista fiscale, l'ufficio di rappresentanza non ha rilevanza ai fini delle imposte dirette e non è, perciò, tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi; è tenuto alla raccolta della documentazione connessa alle operazioni passive al fine di trasmetterla alla casa madre estera. Ai fini IVA è considerato alla stregua di un consumatore finale, mentre è tenuto agli adempimenti tipici dei sostituti d'imposta in caso di servizi prestati da professionisti o in presenza di lavoratori dipendenti). Circa l’interrogativo se le tasse sui profitti fatti all’estero si pagano all’estero o in Italia, una valutazione andrà fatta alla luce della normativa fiscale locale e della Convenzione contro le doppie imposizioni tra l’Italia e il Paese straniero, se esistente. Occorre poi chiarire, in particolare, che un soggetto è tenuto a pagare le imposte (ovunque esse siano prodotte e/o percepite), in un unico Stato, quello di residenza (in Italia, in base all’art. 2 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917), soggetti passivi dell'imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato). Salvo poi ottenere un credito di imposta per le eventuali altre imposte già pagate nei Paesi ove i redditi sono stati percepiti (tassazione nello Stato della fonte). Quindi il lavoratore che abbia eventualmente corrisposto le imposte e contributi anche nello stato estero di lavoro, nella sua dichiarazione dei redditi croata, avrà diritto ad un abbattimento dell’Irpef pari all’ammontare delle imposte pagate in Germania a titolo definitivo (non devono essere presi in considerazione gli acconti). Questo credito, comunque, non potrà mai superare la quota di Irpef relativa al reddito estero. Nel caso, ad esempio, di lavoratore italiano che opera all’estero, ai sensi dell’art. 51, comma 8, Tuir, gli assegni di sede e le altre indennità percepite per servizi prestati all'estero costituiscono reddito nella misura del 50%, anche ai fini della determinazione dei contributi e dei premi previdenziali dovuti ai sensi dell'art. 158, primo e secondo comma, del D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18. E’ anche utile ricordare che i "non residenti Schumacher", ossia i contribuenti non residenti nel territorio italiano, purché stabiliti in Paesi che assicurino un adeguato scambio di informazioni, i quali producano nel territorio dello Stato italiano almeno il 75% del reddito complessivamente prodotto e non godano di agevolazioni fiscali analoghe nello Stato di residenza, possono godere delle deduzioni e detrazioni fiscali in forma completa, analogamente a quanto previsto per i soggetti residenti (art. 24, comma 3-bis, del Tuir). A tal fine, per fruire delle detrazioni per carichi di famiglia, devono attestare, mediante una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà: il grado di parentela del familiare per il quale si intende fruire della detrazione; che il predetto familiare possiede un reddito complessivo, al lordo degli oneri deducibili e comprensivo dei redditi prodotti anche fuori dal territorio dello Stato di residenza, riferito all'intero periodo d'imposta, non superiore a 2.840,51 euro; di non godere nel Paese di residenza, o in altro Paese diverso da questo, di alcun beneficio fiscale connesso ai carichi di famiglia. Doppia imposizione Al fine di evitare la doppia imposizione, conseguente al pagamento delle imposte sui redditi nel Paese di residenza del dichiarante oltre che nel Paese di produzione del reddito, in Italia il D.P.R. n. 917/1986 prevede un principio generale di divieto della doppia imposizione, per cui la stessa imposta non può essere applicata più volte su uno stesso reddito. Tale principio è fissato dall’art. 165 del TUIR, il quale prevede che le imposte pagate a titolo definitivo sui redditi prodotti all’estero siano ammesse in detrazione dall’imposta netta, scaturente dal conguaglio di fine anno o dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui le imposte estere sono state pagate a titolo definitivo, fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra redditi prodotti all’estero e reddito complessivo. Occorrerebbe perciò verificare a tal fine se nel caso sussiste apposita Convenzione tra Croazia e Germania.

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