L'esperto rispondeRapporti di lavoro

Licenziamento per giusta causa della lavoratrice in maternità anticipata

di Josef Tschoell

La domanda

Caso: dipendente in interdizione anticipata dal lavoro per provvedimento ASL (gravidanza a rischio), il datore di lavoro scopre durante la sua assenza gravi atti commessi sul lavoro tutti provati e di volta in volta contestati alla stessa mediante lettera inviata per posta raccomandata. Dopo l'ennesimo "illecito" scoperto, il datore di lavoro esprime la volontà di cessare immediatamente il rapporto di lavoro e vuole procedere ad un licenziamento immediato. Esistono i presupposti normativi per poter procedere a tale interruzione del rapporto di lavoro pur essendo la lavoratrice in astensione anticipata? Qual'è l'iter corretto per non incorrere in problematiche con l'Ispettorato del Lavoro e tutelarsi contro rivendicazioni sindacali?

L’art. 54, D.Lgs. n. 151/2001 dispone che le lavoratrici non possono essere licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine dei periodi di interdizione dal lavoro nonché fino al compimento di un anno di età del bambino. Il divieto di licenziamento non si applica nel caso: a) di colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; b) di cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; c) di ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; d) di esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione di cui all'articolo 4 della legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni. Il quesito non specifica la gravità e i dettagli della condotta della lavoratrice ed è, dunque, difficile valutare il caso. Il licenziamento della lavoratrice durante il periodo protetto è più difficile rispetto a una situazione ordinaria ed è valutato con particolare attenzione da parte dei giudici. Come ribadito dalla Corte di Cassazione (n. 9405/2003) il divieto di licenziamento della lavoratrice madre è reso inoperante quando ricorra "colpa grave da parte della lavoratrice", che non può ritenersi integrata dalla sussistenza di un giustificato motivo soggettivo, ovvero di una situazione contemplata dalla contrattazione collettiva quale giusta causa idonea a legittimare la sanzione espulsiva, essendo invece necessario - anche alla luce di quanto stabilito nella sentenza della Corte costituzionale n. 61 del 1991 - verificare se sussista quella colpa specificamente prevista dalla suddetta norma e diversa (per l'indicato connotato di gravità) da quella prevista dalla disciplina pattizia per generici casi di inadempimento del lavoratore sanzionati con la risoluzione del rapporto.

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