Rapporti di lavoro

Welfare aziendale sganciato dalla regolarità contributiva

di Silvano Imbriaci

Il tema delle politiche retributive è stato negli ultimi tempi oggetto di una certa attenzione normativa sotto il duplice aspetto della remunerazione più propriamente monetaria (con la parziale detassazione dei premi di risultato) e della gestione di piani di welfare aziendale volti a soddisfare gli interessi del lavoratore e della sua famiglia, in un quadro di miglioramento complessivo delle condizioni di vita.

Sotto questo profilo, le due ultime leggi di stabilità (articolo 1, commi 182-190, della legge 208/2015 e articolo 1, comma 160, della legge 232/2016) hanno reso stabile e strutturale il sistema di agevolazione fiscale per le somme corrisposte a titolo di premi di risultato e nello stesso tempo hanno significativamente ampliato il novero delle utilità o benefit messi a disposizione del lavoratore non concorrenti al reddito tassabile e quindi esclusi dalla base imponibile. In questo ultimo ambito (il vero nucleo del welfare aziendale) si è reso evidente lo stimolo del ruolo del datore di lavoro all'uso della contrattazione decentrata e di secondo livello, capace di intervenire sulle esigenze dei lavoratori con misure a carattere sociale.

Accanto ad un sistema di tassazione agevolata per i premi di produttività nel settore privato, si assiste ad un ampliamento dei benefit che non concorrono alla formazione del reddito da lavoro dipendente, con il decisivo superamento della loro introduzione solo su base volontaria, a favore della riconduzione dei piani nell'ambito della contrattazione collettiva. Le forme con cui possono dunque essere introdotti questi piani non si limitano agli atti unilaterali e volontari del datore di lavoro, ma possono essere rappresentate anche da regolamenti aziendali (nel quale l'elemento evanescente della volontarietà si fissa su regole maggiormente stabili) e soprattutto dalle varie forme della contrattazione, collettiva, interconfederale, territoriale ed aziendale.

La detassazione delle prestazioni di welfare garantite in sede contrattuale comporta una sostanziale riduzione degli oneri contributivi, con l'ampliamento delle voci esonerate dall'ambito complessivo della retribuzione imponibile. In questa prospettiva, l'effetto, da un punto di vista contributivo, è quello di un risparmio di spesa e dunque di un'oggettiva agevolazione. E' lecito quindi domandarsi se per l'accesso a questa particolare situazione di vantaggio sia necessario, così come accade per le agevolazioni contributive in genere, il possesso dei requisiti generali richiesti dalla normativa ed in particolare la regolarità contributiva (Durc: dell'art 1 comma 1175 Legge 296/2006), così come il rispetto della contrattazione collettiva di riferimento.

Ha avuto dunque una vasta eco l'indicazione, anche se effettuata in modo informale e comunque ancora non confermata in via ufficiale, pervenuta da un esponente dell'Inl (intervenendo alla 15^edizione del Forum lavoro, organizzato da Fondazione studi) circa l'opportunità di escludere, quale condizione per l'accesso ai piani di welfare aziendale, il necessario possesso della regolarità contributiva.

Come è noto, le misure normative che operano sugli oneri contributivi dei datori di lavoro ai fini di alleggerirne il carico (benefici, agevolazioni, incentivi all'occupazione) hanno la caratteristica peculiare di non essere misure universali, occupandosi di situazioni che, in presenza di certi presupposti, legittimano una deroga all'ordinario regime contributivo. Ne è un esempio la definizione di incentivi all'occupazione contenuta nel comma 2 dell'articolo 30 del Dlgs 150/2015, intesi espressamente come quei benefici normativi o economici riconosciuti ai datori di lavoro in relazione all'assunzione di specifiche categorie di lavoratori. Sono dunque escluse le disposizioni agevolative di natura fiscale e le contribuzioni non ordinarie di sistema (aliquote inferiori per legge).

Ma anche al di là delle finalità occupazionali, il concetto di agevolazione contributiva è legato al suo carattere congiunturale, alla sua previsione ed applicazione, sin dalla sua nascita, a favore di particolari categorie o settori o territori (cfr. l'art. 37 III comma lett. d) della legge n. 88/1989), allo scopo di porre una soluzione a situazioni temporanee in vista del ripristino delle normali aliquote contributive. Gli sgravi contributivi sono concessi dunque secondo criteri selettivi, a favore di particolari settori o aree produttive (basti pensare al Mezzogiorno), con finalità il più delle volte di promozione delle politiche del lavoro.

Secondo quanto affermato dallo stesso ministero del Lavoro (si veda la circolare 5 del 2008) il concetto di beneficio deve essere inteso nel senso di eccezione, in presenza di specifici presupposti soggettivi, rispetto a una regola che impone oneri di carattere economico-patrimoniale a una generalità di soggetti, che prescinde, per ragioni di carattere politico ed economico da specifiche ed ulteriori condizioni richieste al soggetto beneficiario.

Ciò che rileva è dunque che la misura (o l'effetto) agevolativo siano o meno strutturali, in quanto solo nel primo caso l'abbattimento dell'onere contributivo è idoneo a fondare un regime stabile di contribuzione ordinaria (anche nella forma della c.d. sottocontribuzione). Inoltre, sempre alla luce della ricostruzione del ministero, non rientrano nel novero delle agevolazioni contributive (e quindi nell'ambito di applicabilità del pre-requisito della regolarità contributiva) anche quei benefici a carattere normativo che operano solo indirettamente sul piano contributivo (cuneo fiscale, crediti d'imposta).

Ciò premesso, posto che il possesso del Durc è richiesto ai fini della fruizione dei benefici contributivi previsti dall'ordinamento, appare maggiormente evidente la non omogeneità delle aree in cui insistono i provvedimenti normativi in questione, nonché la loro diversità di scopo. Infatti le disposizioni di cui all'art. 51 del Tuir sono volte all'identificazione dell'imponibile fiscale (e per il collegamento sopra visto, dell'imponibile contributivo) in via generale, con riferimento ai trattamenti erogati alla generalità dei lavoratori dipendenti o ad intere categorie. Siamo quindi nell'ottica di una politica retributiva, con finalità di miglioramento della produttività, ma (questo conta) attuata mediante una nuova regolamentazione generale, permessa a livello normativo, dell'area della retribuzione imponibile, con un procedimento che nulla ha a che fare con la regolarità contributiva. Si tratta, in altri termini, di un regime contributivo e non di un'agevolazione (peraltro non appare una coincidenza, sotto questo profilo, l'azzeramento delle risorse destinate agli sgravi contributivi sui salari di II livello ex l. n. 208/2015, art. unico comma 191).

L'intento di voler introdurre una misura a carattere strutturale ed universale è confermato indirettamente anche da alcuni indicatori, che sotto questa luce appaiono significativi. Innanzitutto l'individuazione dei destinatari dei piani di welfare (art. 51, lettere f, f-bis, f-ter e f-quater) intesi come generalità dei dipendenti o categorie omogenee (non le categorie professionali, ma qualsiasi categoria di lavoratori individuata come destinataria dell'intervento). Possono dunque essere individuati gruppi omogenei di dipendenti, indipendentemente dal fatto che in concreto solo alcuni intendano usufruire dei benefit in questione; ma questo non toglie che l'intervento sia strutturale e non selettivo, non a termine o legato a stanziamenti definiti di risorse e che dunque costituisca uno strumento posto a disposizione delle parti, anche in sede di contrattazione, per attuare in concreto la modulazione dell'obbligo contributivo già prevista a monte.

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