Rapporti di lavoro

Dal lavoro agile la chance di cambiare «dal basso»

di Francesco Verbaro

Anche nella Pa sembra arrivata l’ora di confrontarsi con la modernizzazione innovando nell’ambito nel quale più forte è stata la conservazione: l’organizzazione del lavoro. Da un lato, la delega Madia ha previsto che le amministrazioni adottino misure per la sperimentazione di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa. La direttiva della presidenza del Consiglio sul tema ha ottenuto giovedì l’intesa degli enti territoriali. Dall’altro, il “Jobs Act sul lavoro autonomo” delinea i tratti essenziali del lavoro agile. Questo si caratterizza come una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività. Serve a incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. È importante, quindi, non confondere lo smart working con il telelavoro, e non pensarlo come uno strumento per ridurre i costi. È un’innovazione organizzativa per svecchiare il modo di lavorare, e quindi attrarre i giovani e le migliori competenze, quelle più innovative, superando l’adverse selection che ha spesso caratterizzato il reclutamento nella Pa. La sperimentazione apre, però, una serie di temi che richiedono soluzioni mirate.

La Pa, a dispetto delle parole chiave della riforma degli anni 90, pone ancora oggi più attenzione alle procedure che ai risultati. Invece, il superamento del tempo e del luogo della prestazione dovrebbe mettere al centro risultati e performance. La struttura delle retribuzioni, pur in presenza di componenti formalmente legate ai risultati, non vede parti del salario effettivamente variabili e connesse al miglioramento dei servizi. I processi di lavoro sono caratterizzati solo dai tempi e dalle modalità di gestione dei procedimenti, e quindi sono difficilmente trasformabili e informatizzabili. I modelli contrattuali, le mansioni e i profili professionali del personale sono obsoleti, mentre lo smart working richiederebbe profili nuovi e mansioni aggiornate. L’invecchiamento della forza lavoro incide negativamente sulla modernizzazione, mentre il blocco della spesa sulla formazione (dal 2010) - verso il quale né i datori di lavoro né i sindacati hanno rivolto la dovuta attenzione - ha contribuito a una forte obsolescenza delle competenze. La Direttiva sul lavoro agile, pur contenendo utili indicazioni, si presenta come un documento poco “agile” con le sue fitte 25 pagine e con oltre 40 adempimenti in termini di contenuti degli atti interni, indicazioni operative, monitoraggio e collegamento con la performance. Sarà importante, invece, affrontare le criticità e promuovere le buone pratiche anche con l’utilizzo dell’Fse. Il lavoro agile può essere una modalità per innovare la Pa dal basso, prescindendo da leggi e procedure amministrative. Un’occasione da non sprecare e da non sacrificare sull’altare del formalismo amministrativo italiano.

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