Rapporti di lavoro

Su produttività e welfare serve sempre un’intesa

di Giampiero Falasca

Non sempre l’adozione di una disciplina unilaterale quale il regolamento aziendale da parte dell’azienda è sufficiente per gestire determinate tematiche.

È il caso del lavoro flessibile. Il legislatore, ormai da molti anni, ha scelto di affidare la disciplina della materia alle parti sociali, mediante accordi collettivi. Una scelta confermata e anzi enfatizzata dal Dlgs 81/2015, la normativa di riordino dei contratti di lavoro.

La norma assegna ai contratti collettivi stipulati da associazioni datoriali e sindacali aderenti alle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale il compito di integrare tutte le norme contenute nel decreto legislativo in tema di apprendistato, lavoro intermittente, part-time, somministrazione a tempo determinato e indeterminato, lavoro a termine.

Solo le fonti collettive - in piena concorrenza tra i diversi livelli, nel senso che, salvo i casi in cui non sia previsto diversamente, il rinvio alle parti sociali deve intendersi riferito a qualsiasi livello contrattuale - sono abilitate a modificare e integrare il decreto.

Questo significa, per fare un esempio, che la soglia del 20% massimo di contratti a termine utilizzabili in azienda (soglia intesa come rapporto tra i contratti a termine e l’organico a tempo indeterminato presente al 1° gennaio di ogni anno) potrà essere modificata - in aumento o in riduzione - solo da un accordo collettivo (nazionale, territoriale o aziendale) mentre non potrà essere variata in modo unilaterale da un regolamento aziendale.

Analoga limitazione esiste in tema di incentivi collegati alla produttività. Il datore di lavoro è libero di riconoscere premi di risultato, connessi ai risultati conseguiti dai dipendenti, ma può beneficiare di incentivi fiscali (ovvero del regime di tassazione separata, con aliquota al 10%, alle somme pagate) solo se i premi sono definiti da un accordo collettivo di secondo livello.

Quindi, se l’azienda con un regolamento interno stabilisce le condizioni per erogare un premio di risultato, l’ atto è pienamente valido ed efficace (anche se dovrà coordinarsi con eventuali norme collettive che potrebbero riservare la materia alla contrattazione), ma non può dare luogo ad alcun incentivo fiscale. Per poter accedere al beneficio, l’azienda dovrà fare un passo in più, negoziando e definendo il premio all’interno di un accordo sindacale.

Anche nel welfare aziendale la disciplina unilaterale è consentita ma subisce limitazioni. Se l’azienda intende definire unilateralmente un piano di welfare aziendale è del tutto libera di farlo. Anzi, sino all’approvazione della legge di Stabilità per il 2016 l’ opzione era di fatto incentivata dalla legge, in quanto fino a quel momento i benefici fiscali connessi al welfare aziendale venivano persi in caso di stipula di un accordo vincolante.

Tuttavia, se il datore di lavoro vuole offrire ai dipendenti la possibilità di fruire del piano di welfare come misura alternativa a eventuali premi di risultato, la strada è vincolata: serve un accordo firmato con le rappresentanze sindacali.

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