Rapporti di lavoro

In caso di gruppi di aziende, inquadramento contributivo basato sulla situazione di fatto

di Silvano Imbriaci

La questione dell'inquadramento aziendale in presenza di gruppi di imprese o di creazione di holding per la gestione di alcuni processi produttivi presenta dei profili di diversità rispetto a quella classica delle attività plurime o promiscue, anche se si inserisce in un quadro comune di valutazione.

Nello specifico, nel caso di attività plurime o promiscue sia l'Inps (nuovo manuale di classificazione della circolare 80/2014) che la Cassazione (si veda la sentenza 23804/2014) formulano un criterio in astratto convincente, anche se di non facilissima applicazione: quando le attività diverse svolte siano inquadrabili in settori diversi, si tiene conto dell'attività che viene svolta con prevalenza, salvo che le stesse siano svolte con autonomia organizzativa e gestionale (e allora subentra la necessità di un distinto inquadramento).

Così, nello specifico, accade nel caso di attività promiscue, dove si segue l'inquadramento dell'attività primaria, a meno che l'imprenditore non eserciti una pluralità di attività con organizzazioni autonome e distinte tra loro non condizionate reciprocamente. Secondo la Cassazione, l'indagine, sul punto, deve essere sostanziale (attività in concreto svolta) e non limitarsi alla verifica della documentazione attestante l'attività esercitata.

Nel caso di gruppi di imprese la situazione presenta alcuni tratti di diversità, proprio perché l'attività imprenditoriale (che l'ente previdenziale assume come unitaria) si articola attraverso la presenza di diverse società, soprattutto nel caso in cui vi sia una holding intesa come compagine a cui è attribuita l'attività di direzione, gestione del personale, controllo e indirizzo politico-gestionale, nonché coordinamento tecnico amministrativo, rispetto alle altre società del gruppo.

L'Inps ha diramato fin dal 1994 due circolari, la 134/1994 e la 321/1994 (quest'ultima a carattere integrativo-modificativo della precedente), tuttora applicate ai casi di inquadramento aziendale in presenza di gruppi aziendali. Il fenomeno riguarda prevalentemente imprese che agiscono nel settore industriale e che, per migliorare i livelli di efficienza, stabiliscono di decentrare segmenti di attività, mediante la creazione di varie altre unità, dotate di proprio patrimonio e propria personalità giuridica, ma in stretto collegamento tra loro, in quanto poste sotto il controllo di un medesimo soggetto economico.

Nel caso di gruppi di imprese in cui sia stato attuato uno scorporo effettivo di alcune attività, con attribuzione alla holding della funzione di controllo e di coordinamento, l'impostazione dell'Inps rimane sostanzialistica. Occorre verificare il grado di coordinamento e di interdipendenza tra le varie aziende, come emerge anche da alcuni dati fattuali, rappresentati dalla dislocazione delle aziende, dall'utilizzo di personale, dall'applicazione del medesimo contratto di lavoro.

Se l'attività è dunque unitaria nel senso sopra visto, ossia se è riconducibile, nel complesso, al raggiungimento dello scopo imprenditoriale unitario, anche in presenza di società collaterali facenti parte del gruppo (per seguire ad esempio le attività di ricerca, di progettazione, di consulenza, ecc…), secondo l'Istituto, ai fini della classificazione previdenziale, alla società capogruppo devono essere mantenuti il settore di inquadramento e le caratteristiche contributive attribuite all'impresa “originaria”.

Non quindi un esame soggettivo, ma la verifica della oggettiva interconnessione e dipendenza tra le varie aziende, nell'ottica della medesima finalità produttiva che le accomuna (al cui miglioramento è, in fondo, preordinata l'operazione di diversificazione delle società).

Già nella prima circolare del 1994, l'Inps, anche tenendo conto delle indicazioni ministeriali, aveva tentato di enucleare e fissare una serie di indicatori della natura unitaria dell'impresa, ai fini dell'inquadramento unico, nel caso di gruppi: il possesso da parte della società controllante della totalità o della maggioranza del pacchetto azionario o delle quote sociali delle società del gruppo; lo svolgimento da parte delle controllate di attività esclusiva in favore del gruppo; la distribuzione esclusivamente dei beni prodotti dalle imprese del gruppo; l'applicazione dello stesso contratto collettivo; la previsione di forme di mobilità del personale all'interno delle varie imprese del gruppo.

Non siamo poi molto distanti dalle più recenti acquisizioni, provenienti anche dalla esperienza europea (si veda l’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento Ue 1408/2013 della Commissione del 18 dicembre 2013) in tema di impresa unica ai fini dell'incremento occupazionale netto per la verifica del diritto alle agevolazioni contributive (si veda la circolare 32/2016 dell'Inps sugli incentivi alle assunzioni nell'ambito del programma Garanzia giovani).

Secondo tale impostazione, per parlare di impresa unica è sufficiente infatti che una impresa detenga la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di altra impresa; oppure che a un'impresa sia riconosciuto il diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, direzione o sorveglianza di altra impresa; o ancora quando si riconosca ad un'azienda il diritto di esercitare un'influenza dominante su un'altra impresa in virtù di un contratto concluso con quest'ultima oppure in virtù di una clausola dello statuto di quest'ultima; oppure ancora, infine, quando ci si trovi in presenza di impresa azionista o socia di altra impresa che controlla da sola, in virtù di accordo stipulato con gli altri azionisti o soci dell'altra impresa, la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di quest'ultima.

Il limite che l'Istituto pone nella ricostruzione di questi collegamenti è tuttavia ben precisato, nelle stesse circolari indicate: in presenza di attività esclusiva svolta nei confronti delle altre imprese del gruppo, questa deve preferibilmente risultare dagli statuti delle aziende facenti parte del gruppo industriale medesimo. E poi, i criteri fin qui evidenziati non si applicano ai gruppi di prese derivanti da aggregazione avvenuta sulla base dell'acquisto di pacchetti azionari: in questo caso l'inquadramento procede dall'attività concretamente svolta.

Su questa linea si pone anche la stessa giurisprudenza che, al di là delle più ricorrenti questioni relative alle attività diverse o promiscue svolte da un'unica impresa, raramente si è occupata nello specifico del tema dei gruppi di imprese o delle holdings a fini classificatori. Secondo un'impostazione restrittiva (Cassazione 12993/2003) in presenza di plurime attività svolte con organizzazioni distinte e autonome tra loro, riconducibili ad aziende separate, ognuna di queste deve mantenere il proprio inquadramento, anche nell'ipotesi in cui vi sia l'inserimento in un gruppo societario, sempre che l'azienda lasci inalterata la propria distinta personalità giuridica e l'autonoma qualità di imprenditore.

In altre parole, non assume rilievo la circostanza dell'inserimento della società nell'ambito del gruppo, atteso che il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società appartenenti al medesimo gruppo non determina il sorgere di un autonomo soggetto di diritto o di un centro di imputazione di rapporti diverso da quello delle singole società collegate (fattispecie in materia di attività intermediaria nella circolazione di beni, ai fini dell'attribuzione delle agevolazioni contributive, principio espresso fin dalla sentenza 4421/1995).

Anche qui, dunque, l'esame deve farsi in un'ottica sostanzialistica e in concreto, non potendo essere sufficiente il mero collegamento tra le imprese per la creazione di un soggetto unitario (anche ai fini classificatori). Sotto questo profilo, non può non farsi un cenno, per i fini che qui interessano, a quel filone giurisprudenziale (su cui da ultimo si veda Cassazione 160/2017) secondo cui il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti a un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore e una di esse, si debbano estendere anche all'altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro.

Tale situazione può essere accertata attraverso l'esame delle attività di ciascuna delle imprese, che deve rivelare l'esistenza di una serie di requisiti quali l'unicità della struttura organizzativa e produttiva; l'integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune; il coordinamento tecnico e amministrativo - finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo; l'utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori (si veda Cassazione 3842/2013).

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