Rapporti di lavoro

Referendum in Canton Ticino, per i frontalieri nessuna conseguenza nell’immediato

di Andrea Costa

Domenica 25 settembre si è tenuto nel Canton Ticino, Svizzera, un referendum di modifica della Costituzione ticinese volto a privilegiare i cittadini svizzeri nel mercato del lavoro a parità di qualifiche. La vittoria del “sì” ha evidenziato un “malessere” della popolazione locale nei confronti dei lavoratori stranieri, peraltro difficilmente conciliabile con i dati relativi alla disoccupazione in Ticino che, come comunicato dalla Segreteria di Stato dell'economia (Seco), lo scorso agosto si è attestata al 3,2%. La tematica oggetto della consultazione interessa indubbiamente numerosi italiani – più di 60mila – che, svolgendo come frontalieri attività lavorativa in Svizzera, rispondono giornalmente, anche in virtù della specializzazione richiesta, a una domanda di lavoro evidentemente non soddisfatta dai lavoratori locali.

Temporalmente il risultato segue l'esito del referendum del 9 febbraio 2014 “Contro l'immigrazione di massa” diretto a introdurre limitazioni all'immigrazione – anche nei confronti dei cittadini dell'Ue – da stabilirsi in funzione delle effettive necessità del mercato del lavoro svizzero e nel rispetto di un più generale principio di preferenza ai cittadini svizzeri nel caso di nuove assunzioni, e, successivamente, del referendum del 23 giugno 2016 nel Regno Unito conclusosi, come noto, con la vittoria dei “leave”. È innegabile come l'emersione di istanze volte a limitare la mobilità dei lavoratori stranieri sia da attribuire alla lunga crisi economica che ha interessato gli ultimi anni, ma tali “sollecitazioni” incontrano nel diritto dell'Unione europea un importante ostacolo difficilmente superabile. La libera circolazione dei cittadini dell'Unione è infatti assicurata non solo nell'ambito del territorio dei 28 Stati membri – prevedendo la rimozione di ostacoli e discriminazioni, se non in casi specifici e ben delimitati – ma anche nei confronti della Svizzera e degli Stati aderenti allo Spazio economico europeo con i quali sono stati stipulati appositi accordi.

Al pari del referendum britannico, dal punto di vista giuridico il voto nel Canton Ticino non risulta, nell'immediato, vincolante, in quanto l'esito si pone in netto contrasto il principio della libera circolazione delle persone. La procedura prevede, in particolare, che debbano essere dapprima rinegoziati gli accordi tra Unione europea e il Parlamento nazionale svizzero, che resta comunque l'unico competente per la definizione delle regole del mercato del lavoro interno e dell'immigrazione. Trattasi in ogni caso di una negoziazione complicata, lunga e dagli esiti incerti, nella quale entrano in gioco anche le ulteriori libertà fondamentali dell'Unione (la libera circolazione delle merci, dei capitali e dei servizi), alle quali difficilmente la Svizzera potrà rinunciare.

Indipendentemente dalle consultazioni popolari, la volontà della Confederazione elvetica di continuare a operare nell'ambito del quadro regolatorio definito assieme all'Unione europea è ulteriormente testimoniata dal recente processo di attuazione della sentenza del Tribunale federale del 26 gennaio 2010, che aveva riconosciuto la violazione dell'Accordo sulla libera circolazione delle persone concluso tra Berna e Bruxelles con riferimento alla legislazione applicabile ai non residenti in materia fiscale. Lo scorso 20 settembre la Camera dei Cantoni Svizzeri ha infatti approvato la revisione dei criteri di imposizione alla fonte del reddito da attività lucrativa, consentendo ai “quasi residenti”, frontalieri compresi, di poter richiedere la tassazione ordinaria anziché quella alla fonte, beneficiando delle stesse deduzioni accordate alle persone tassate in Svizzera in via ordinaria. Nel momento in cui si scrive la riforma è ancora in corso di definizione.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©