Rapporti di lavoro

Brexit, i riflessi per il lavoratore transnazionale

di Andrea Costa

Con il voto del 23 giugno i cittadini britannici hanno espresso l'intenzione di uscire dall'Unione europea, raggiungendo il 52 per cento delle preferenze.

Sebbene il referendum sia solo consultivo e teoricamente non vincolante, ci si aspetta ora che le Autorità britanniche avviino il processo di uscita, nel rispetto dell'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea. La procedura prevede, in particolare, la notifica di recesso al Consiglio europeo da parte del Regno Unito e l'apertura di una serie di negoziati volti a concludere un accordo volto a definire le modalità di tale recesso, tenendo conto del quadro delle future relazioni con l'Unione.

La cessazione dell'applicabilità dei Trattati nel Regno Unito non è immediata, operando solo dalla data di entrata in vigore dell'accordo o, in mancanza, dopo due anni dalla data notifica, sempreché le parti, di comune intesa, non decidano di prorogare il termine. Nonostante si sia di fronte ad una prima manifestazione di interesse a recedere dall'Unione – la Groenlandia, uscita nel 1985, ha comunque beneficiato di un particolare status – l'esperienza porta a concludere che difficilmente si riuscirà a concludere l'accordo in un biennio. In ogni caso, nonostante l'esito del voto, nel corso di tale periodo il Regno Unito continuerà a prendere parte alle decisioni dell'Unione, ad eccezione di quelle che riguardano strettamente Brexit.

Nel breve periodo non sono previste dunque grandi modifiche, anche con riferimento alla legislazione applicabile al lavoratore transnazionale nell'ambito del territorio comunitario e degli Stati aderenti allo Spazio Economico Europeo (Norvegia, Islanda, Liechtenstein), riguardo, tra l'altro, alla libertà di circolazione prevista dal Trattato e dalla direttiva 2004/38/CE, alla disciplina di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale di cui al regolamento n. 883/2004, alla legislazione applicabile al rapporto di lavoro nei casi di distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi definita dalle direttive 96/71/CE e 2014/67/UE.

Gli scenari che si apriranno sono differenti e dipenderanno dagli spazi di negoziazione e dalla volontà delle parti di accordarsi su singoli punti: tra le varie soluzioni il Regno Unito potrebbe ritardare la notifica di recesso, negoziare un apposito accordo con l'Unione, ovvero, adottando una soluzione "gattopardiana", chiedere di entrare nello Spazio Economico Europeo.

In un tale contesto non bisogna però trascurare la posizione della Scozia che solo poco tempo fa, nel settembre 2014, si era espressa, con il 55 per cento delle preferenze, per la permanenza nel Regno Unito; il risultato del referendum, dal quale emerge che gli scozzesi si sono apertamente schierati per il "remain", potrebbe costituire l'occasione per indire una nuova consultazione per la separazione.

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