Rapporti di lavoro

Piani di welfare aziendale, come trasformare il premio monetario in premio “sociale”

di Cristian Valsiglio

Nell'ultimo periodo si è assistito, per il vero in maniera molto celata, ad interpretazioni dell'agenzia delle Entrate, mai formalizzate in interpelli pubblicati sul sito istituzionale, secondo le quali alcuni piani di welfare aziendale sono stati bocciati sotto il profilo della defiscalizzazione per i seguenti motivi:

- la fonte di finanziamento del welfare aziendale non può essere la retribuzione fissa o variabile;
- l'azienda non può mettere a disposizione un determinato importo e lasciare al dipendente la scelta se vederlo erogato in forma monetaria o in servizi;
- in caso di valori di welfare aziendale non utilizzati, gli stessi non possono essere erogati sotto forma di denaro.

A mente dell'articolo 1, comma 184, della legge 208/2015, il dipendente potrà trasformare, in parte o totalmente, il premio di produttività detassato in “premio sociale” spendibile quindi in servizi di welfare aziendale. Tale soluzione, da sempre osteggiata dall'agenzia delle Entrate, ora è finalmente normata.

È quindi necessario, a questo punto, identificare correttamente la fonte del finanziamento dell'opzione per il welfare aziendale: il premio detassato.

A tal riguardo la legge di Stabilità 2016 ripropone, in modo strutturato e pertanto non più temporaneamente, la detassazione dei premi di risultato nel settore privato.

Se ciò è da vedere positivamente, si deve tuttavia evidenziare che sono stati completamente azzerati i fondi previsti per la decontribuzione dei premi di risultato (legge 247/2007): in sostanza si favorisce il potere d'acquisto dei dipendenti, ma si alza il costo del lavoro per le aziende.

Sotto l'aspetto oggettivo saranno agevolati «i premi di risultato di ammontare variabile la cui corresponsione sia legata ad incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione, misurabili e verificabili» sulla base di quanto disporrà un futuro decreto ministeriale. Il termine “premi di risultato” sembra restringere il campo di applicazione; sicuramente tale ambito sarebbe stato ben più esteso laddove si fosse parlato più genericamente di “somme”.

I premi dovranno essere previsti da accordi collettivi di II livello (territoriali e/o aziendali) in base all'articolo 51 del Dlgs 81/2015 e la defiscalizzazione è consentita per un importo massimo lordo di 2.000 euro, innalzabile a 2.500 euro per le aziende che coinvolgono pariteticamente i lavoratori nell'organizzazione del lavoro: condizione quest'ultima che dovrà essere definita dal futuro decreto ministeriale di cui sopra.

Il legislatore consente l'agevolazione anche per le «somme erogate sotto forma di partecipazione agli utili d'impresa». La fattispecie è suggestiva: l'agevolazione, anche in questo caso, sembrerebbe concessa in presenza di un accordo collettivo mentre per propria natura la distribuzione degli utili è una facoltà meramente aziendale. La fattispecie sembra pertanto snaturata.

Sotto l'aspetto soggettivo, ad essere agevolati saranno i soli dipendenti del settore privato con un reddito da lavoro dipendente, nell'anno precedente, non superiore a 50.000 euro. Il beneficio consiste nell'applicazione alle somme di un'aliquota fiscale stabilita a titolo d'imposta del 10%; il lavoratore potrà rinunziare all'agevolazione.

L'aspetto più innovativo della disposizione, tuttavia, è la facoltà per il dipendente di trasformare la predetta somma detassata, in parte o totalmente, in welfare aziendale usufruendo di un ulteriore beneficio fiscale (oltre a quello contributivo): in quest'ultimo caso, nei limiti previsti dall'art. 51, commi 2 e 3, Tuir, vi potrebbe essere una piena esenzione fiscale in luogo dell'assoggettamento al 10%.

Vediamo in cosa consista l'opzione.
Il dipendente (con diritto alla detassazione) avrà facoltà di optare tra:

- la percezione monetaria del premio; in questo caso la somma sarà detassata tramite l'applicazione dell'aliquota del 10% e con applicazione della normale contribuzione;
- la fruizione di opere, servizi, somme rientranti tra le categorie agevolate di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 51 Tuir usufruendo della maggiore defiscalizzazione (es. contribuzione cassa sanitaria, contribuzione alla previdenza complementare, buoni di acquisto, opere e servizi di utilità sociali, rimborso spese scolastiche ecc.).

L'opzione de qua, denominata dalla dottrina come trasformazione del premio monetario in premio “sociale”, consentirà anche di avere un paniere di servizi al quale sarà consentito l'accesso nel limite della defiscalizzazione.

L'opzione “fatta a monte”, inoltre, per espressa disposizione normativa sarà totale o parziale; la ratio della norma tuttavia dovrebbe rendere meno critica la possibile liquidazione monetaria del residuo optato ma non consumato.

Diversi sono gli aspetti che dovranno essere approfonditi e risolti dagli Enti competenti (Entrate e Inps) in fase d'interpretazione della nuova disposizione.

In primo luogo si deve evidenziare che il concetto di generalità o categoria di dipendente, generalmente previsto come condizione di accesso al welfare aziendale agevolato, sottostà a un vincolo reddituale (50.000 euro): pertanto, dipendenti dello stesso gruppo omogeneo potranno trasformare un premio detassato in welfare aziendale defiscalizzato mentre gli altri si troveranno a pagare imposte piene non potendo sfruttare la defiscalizzazione ad hoc.

Un secondo aspetto è collegato al diritto di opzione: esso si deve ritenere che non sorga iure proprio in capo al dipendente, ma che debba essere istituzionalizzato in un contratto collettivo di II livello nel rispetto delle condizioni ex art. 51 Dlgs 81/2015. Infatti è la stessa disposizione che, al co. 187, dell'art. 1 della legge di stabilità 2016, recita «Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 182 a 191, le somme e i valori di cui ai commi 182 e 184 devono essere erogati in esecuzione dei contratti aziendali o territoriali».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©