L'esperto rispondeRapporti di lavoro

Congedo parentale, durata complessiva

di Paolo Rossi

La domanda

L'attuale normativa quantifica in 6 mesi la durata complessiva per la madre, la quale li può fruire anche in modo frazionato (di recente anche a ore). Non risulta da nessuna parte che la durata complessiva debba essere 180 giorni, come invece sostiene l'Inps che, più volte sollecitato, non fornisce spiegazioni. Tale posizione danneggia la lavoratrice, come nel seguente caso: Periodo da 9/9/15 a 6/3/16 = 180gg (applicando le regole Inps, mai disattese, sarebbero 5 mesi e 28gg, con possibilità per la lavoratrice di fruire altri 2 gg, possibilità che, nel caso in esempio, viene negata). Si chiede il parere dell'esperto.

L'attuale testo dell’articolo 32 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, prevede che “Per ogni bambino, nei primi suoi dodici anni di vita, ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro secondo le modalità stabilite dal presente articolo. I relativi congedi parentali dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di dieci mesi, fatto salvo il disposto del comma 2 del presente articolo. Nell'ambito del predetto limite, il diritto di astenersi dal lavoro compete: a) alla madre lavoratrice, trascorso il periodo di congedo di maternità di cui al Capo III, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi; b) al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a sei mesi, elevabile a sette nel caso di cui al comma 2; c) qualora vi sia un solo genitore, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a dieci mesi.” Quanto al periodo di astensione, la norma adotta un criterio di quantificazione su base “mensile”, pur precisando che il periodo in questione può essere “continuativo o frazionato”. Proprio il fatto di poter frazionare i sei mesi previsti a beneficio della madre (oggetto del quesito) e del padre, ha indotto l’INPS ad adottare un meccanismo di calcolo che è dato ormai per acquisito da più di trenta anni (INPS, circolare 26 gennaio 1982, n. 134382). Ai fini del computo del periodo o dei periodi di astensione facoltativa, infatti, la prassi operativa consolidata utilizza i seguenti meccanismi: a) qualora la durata del periodo di astensione sia esattamente pari ad un mese o ad un multiplo dello stesso (es.: dal 1° gennaio al 31 gennaio ovvero dal 18 febbraio al 17 marzo) devono essere computati ai fini del periodo massimo di sei mesi uno o più mesi interi. b) qualora, invece, i periodi di godimento dell'assenza siano di durata inferiore o superiore al mese, si procede come segue: - per i periodi di durata inferiore al mese, si sommano le giornate di assenza di ciascun periodo fino a raggiungere il numero 30, considerando le stesse pari ad un mese e tenendo in evidenza i giorni residui per sommarli successivamente ad eventuali ulteriori periodi; - b) per i periodi di durata superiore ad un mese (ma non multipli dello stesso), si computa il mese od il numero di mesi inclusi nei periodi medesimi secondo il calendario comune, lasciando come resto il numero dei giorni che non raggiungono il mese intero; per questi ultimi si seguirà il criterio di cui al punto precedente. E’ evidente che se si adotta, per necessità operative, un criterio di computo misto, parte con il metodo a mesi di cui alla lettera a) e parte con il metodo a giorni di cui alla lettera b), la quadratura con i 180 giorni evocati dal lettore è piuttosto remota, tenuto conto che nelle frazioni computate a giorni l’Inps ha dovuto adottare un parametro convenzionale che porti a considerare come mese intero gli spezzoni giornalieri il cui totale fa 30. Per contro, non può nemmeno essere considerato equivalente a “sei mesi” il parametro dei 180 giorni utilizzato nel quesito, in quanto il periodo complessivo non è, al pari, direttamente quantificabile operando la moltiplicazione 30 (giorni) per 6 (mesi), proprio in ragione del fatto che la misura mensile pari a 30 giorni rappresenta un mero parametro convenzionale.

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