Rapporti di lavoro

Dimissioni in bianco: riforma vera o apparente?

di Antonio Carlo Scacco

Il decreto legislativo n. 151/2015, in attuazione della delega contenuta nell'articolo 1, comma 6 lettera g) della legge 183/2014, ha previsto all'articolo 26 norme mirate alla eliminazione della pratica cosiddetta delle “dimissioni in bianco”, con l'obiettivo di introdurre, si legge nella scheda di sintesi diffusa dal ministero del Lavoro nei giorni immediatamente successivi alla approvazione del decreto in Consiglio dei ministri, «modalità semplificate per effettuare le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali attraverso il sito istituzionale. Nessun'altra forma di effettuazione di dimissioni sarà più valida: in questo modo si assesta un colpo decisivo alla pratica delle dimissioni in bianco che ha finora colpito, in particolare, le donne lavoratrici».
Al di là dei toni enfatici e ridondanti che hanno accompagnato la notizia sui mezzi di informazione, ci si interroga sul reale valore della nuova disciplina. È opportuno innanzitutto sgombrare il campo da un equivoco: la nuova normativa, che entrerà in vigore a partire dal sessantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore di un prossimo decreto del ministro del Lavoro che ne stabilirà le modalità attuative, non introduce una regolamentazione ex novo del fenomeno, già disciplinato dalla legge Fornero 92/2012. Almeno sotto il profilo della ratio segna piuttosto un ritorno, sia pure con rilevanti differenze, alla normativa introdotta dalla legge 188/2007 che, notoriamente, fu efficace per un periodo inferiore a quattro mesi prima di essere – quasi a furor di popolo – abrogata. Elemento centrale della nuova procedura sarà l'obbligo, nella generalità dei casi, di “fare” le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli messi a disposizione dal Minlav sul proprio sito web. L'inosservanza determinerà l’inefficacia delle dimissioni e della risoluzione consensuale. In attesa di conoscere le relative modalità attuative che saranno oggetto del decreto cui si è accennato, è fin da ora possibile avanzare delle osservazioni critiche.
L'adozione in via esclusiva della procedura telematica determinerà un sensibile aggravio degli oneri gestionali in capo al lavoratore. Quest'ultimo dovrà accreditarsi presso il sito del Minlav, compilare il modulo on line e poi “trasmetterlo” alla Dtl e al datore di lavoro. Molto dipenderà dalla complessità del modulo e dalla natura delle informazioni richieste (fu proprio questo uno dei fattori critici che portò alla abolizione della citata legge 188). Perplessità suscita l'utilizzo del verbo “trasmettere”: il termine sottintenderebbe una trasmissione telematica ma in tal caso il lavoratore dovrebbe conoscere il recapito telematico del datore, verosimilmente la sua casella di posta elettronica certificata (la comunicazione alla Dtl dovrebbe avvenire invece automaticamente). Ma se il modulo si forma e si trasmette “esclusivamente” in via telematica non si comprende il senso della norma che punisce la sua alterazione, che presuppone una formazione cartacea (come era nella legge 188, nella quale si prevedeva la stampa e la successiva comunicazione/consegna del modulo al datore). La complessità delle nuova procedura indurrà presumibilmente il lavoratore a servirsi di soggetti terzi (opzione peraltro prevista espressamente dal comma 4 dell'articolo 26). Ma la critica più seria riguarda, come accadde già con la legge 188, la mancata previsione dell'abbandono del posto di lavoro da parte del lavoratore in assenza di presentazione delle dimissioni o risoluzione consensuale (il fenomeno ricorre frequentemente con i lavoratori extra-comunitari). Mentre la legge Fornero aveva previsto un correttivo a tale situazione, la nuova disciplina nulla prevede al riguardo. La circolare del Ministero del lavoro n. 4/2008 aveva avanzato l'ipotesi che l’ingiustificata e reiterata assenza dal lavoro potesse essere interpretata come “fatto concludente”, indicativo della volontà del lavoratore di dimettersi (in tal senso anche una parte della giurisprudenza). Ma la tesi contrasta con il chiaro dettato della norma secondo la quale «le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche». L'incertezza che ne consegue costringerà il datore, a fronte del comportamento del lavoratore che abbandona il posto di lavoro senza presentare le dimissioni nelle modalità previste dall'articolo 26, a incardinare una procedura disciplinare finalizzata al licenziamento (con conseguente pagamento del relativo contributo Naspi).
A prima vista, e in attesa del prossimo decreto del ministro del Lavoro, non sembra che la nuova procedura realizzi un reale progresso rispetto al passato. Il meccanismo apprestato dalla legge Fornero, pur con tutti i difetti ad esso ascrivibili, realizzava un compromesso accettabile tra la efficacia della tutela contro la esecrabile pratica delle “dimissioni in bianco” e la complessità della procedura. In particolare la possibilità da parte del lavoratore di convalidare le dimissioni mediante la firma in calce apposta sulla ricevuta telematica rilasciata dal centro per l'impiego a fronte della comunicazione di cessazione, rappresentava un adempimento di facile e immediata esecuzione (soprattutto per il lavoratore). A ciò si aggiunga che il progressivo attenuarsi delle tutele a fronte di licenziamenti illegittimi, caratteristica della legislazione del lavoro degli ultimi anni, rende la pratica delle “dimissioni in bianco” fenomeno assai meno frequente rispetto al passato. La strada preferibile, pertanto, avrebbe dovuto essere quella della integrazione e del perfezionamento dell'impianto esistente, utilizzando gli strumenti peraltro già contenuti nella legge 92 (il riferimento è al decreto di natura non regolamentare previsto dall'articolo 4, comma 18, e mai attuato), evitando inutili ed eccessive complicazioni burocratiche.

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