Rapporti di lavoro

Naspi anche per licenziamento disciplinare e offerta di conciliazione

di Alberto Bosco

Il trattamento economico di Naspi, la nuova indennità di disoccupazione introdotta dal Dlgs 4 marzo 2015, n. 22, spetta anche a tutti i lavoratori licenziati per motivi disciplinari, come pure se il dipendente (soggetto al contratto a tutele crescenti) accetta l'offerta economica del datore nell'ambito della cd. “conciliazione agevolata”, ex articolo 6 del Dlgs n. 23/2015. Lo ha precisato il Ministero con la risposta a Interpello n. 13 del 24 aprile scorso.
L'art. 1 del Dlgs 4 marzo 2015, n. 22, ha istituito presso la Gestione prestazioni temporanee per i lavoratori dipendenti, un'indennità mensile di disoccupazione, denominata «Nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego (Naspi)», con la funzione di sostenere il reddito dei lavoratori subordinati che abbiano perduto involontariamente l'occupazione. La Naspi sostituisce le prestazioni di Aspi e mini-Aspi per gli eventi di disoccupazione che si verificano dal 1° maggio 2015. Le condizioni per fruire dell'indennità, oltre alla perdita involontaria dell'occupazione, richiedono che il lavoratore:
a) sia in stato di disoccupazione (articolo 1, co. 2, lettera c, del Dlgs 21 aprile 2000, n. 181);
b) possa far valere, nei 4 anni prima della disoccupazione, almeno 13 settimane di contributi;
c) possa far valere 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi prima della disoccupazione.
Inoltre, la Naspi è riconosciuta anche ai dipendenti che si sono dimessi per giusta causa e nei casi di risoluzione consensuale nell'ambito della procedura in Dtl per giustificato motivo oggettivo, ex articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dalla Riforma Fornero.
Va poi ricordato che, in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato per le causali che, indipendentemente dal requisito contributivo, darebbero diritto all'Aspi, è dovuta, a carico del datore, una somma pari al 41% del massimale mensile di Aspi per ogni 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni; per il 2015, il contributo mensile è pari a euro 40,84; quello per 12 mesi a euro 490,10; quello massimo per 36 mesi a euro 1.470,30.
Con riguardo al licenziamento disciplinare, il ministero del Lavoro, già con la precedente risposta a interpello n. 29 del 23 ottobre 2013, aveva già precisato che sussiste il diritto del lavoratore a percepire l'Aspi (e il conseguente obbligo del datore di lavoro di versare il contributo), anche nell'ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa: tale situazione, quindi, non muta a seguito dell'istituzione della Naspi.
Quanto alla nuova offerta di conciliazione, che è stata introdotta dall'articolo 6 del Dlgs n. 23/2015, per i lavoratori soggetti al contratto a tutele crescenti, essa è così articolata:
a) entro 60 giorni dal recesso, il datore, per evitare il giudizio, può offrire al lavoratore (in una sede protetta o presso una commissione di certificazione), un importo esente da contributi e Irpef, pari a 1 mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr per ogni anno di servizio, in misura non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità, consegnando al lavoratore un assegno circolare (nelle Pmi tale importo va da 1 a 6 mensilità);
b) l'accettazione dell'assegno circolare in tale sede da parte del lavoratore comporta l'estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del recesso anche qualora il lavoratore l'abbia già proposta.
Come precisato dal Ministero, e come peraltro evidenziato anche nella circolare di Confindustria 9 marzo 2015, n. 19831 (secondo cui «… l'atto giuridico che determina la cessazione del rapporto di lavoro ha, a tutti gli effetti di legge, natura di licenziamento»), l'accettazione dell'offerta non muta il titolo della risoluzione del rapporto che resta il licenziamento e comporta, per espressa previsione normativa, solo la rinuncia alla sua impugnazione; ne consegue che, non modificando il titolo della risoluzione del rapporto, tale fattispecie va intesa quale ipotesi di disoccupazione involontaria conseguente ad atto unilaterale di licenziamento da parte del datore di lavoro.

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