Rapporti di lavoro

Le nuove frontiere per l’«outplacement»

di Giorgio Paladin

Già al tempo della Riforma Fornero annotavamo il raggiungimento di una più diffusa consapevolezza che le certezze occupazionali non stanno fuori dalle persone, ma nella loro consapevole capacità di entrare attivamente in gioco quando serve cambiare. Questo lo collegavamo anche al crescente riconoscimento da parte del Sistema Pubblico del valore dell'accompagnamento alla ricollocazione delle persone che perdono il lavoro. Nel tempo, in effetti, il servizio di outplacement svolto dalla Agenzie per il Lavoro specialistiche, era via via uscito dalla sua nicchia frequentata solo da datori di lavoro con elevata cultura d'impresa, acquisendo la dignità del più efficace strumento per riposizionarsi nel mondo del lavoro.
Questo lo ritroviamo adesso e lo ritroveremmo nell'immediato futuro, in misura rafforzata, anche per quanto appare in alcuni punti del Job Act, dove, al riguardo delle problematiche del supporto alla ricollocazione a fronte di disoccupazione involontaria, vengono messi in parallelo due livelli di responsabilizzazione sul piano delle politiche per l'occupazione. Da un lato, la responsabilità del Sistema nell'equilibrare le tutele passive con le spinte di politica attiva per il lavoro, attraverso il ”…collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo, anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro…” (art. 1, comma 4, lettera p). Dall'altro lato, l'accresciuta responsabilità delle persone ad essere attive nei percorsi di riqualificazione e ricollocazione professionale a loro disposizione, sia per le accelerazioni derivanti da minore sostegno al reddito, sia in virtù di più stringente regole del gioco nell'ambito delle iniziative per l'occupazione, come esplicitato nelle varie lettere dell'art.1 comma 2.
Sulla base di queste considerazione e nella visione prospettica di Agenzia Specialistica, trovo appropriato dire che abbiamo davanti una “nuova e intensa stagione per l'outplacement”. In essa la virtuosità e la lungimiranza si esprimeranno prima di tutto col buon utilizzo dello strumento laddove si generano le condizioni per le risoluzioni dei rapporti di lavoro e/o i licenziamenti. Mi riferisco al mondo datoriale, nel quale la tempestività di una buona politica di gestione del personale in esubero in situazioni di riorganizzazione, non solo dà senso al ruolo sociale dell'impresa, ma soprattutto incide positivamente nel conto economico, perché permette di raggiungere in tempi brevi il nuovo assetto organizzativo e produttivo.
Data la drammaticità della crisi occupazionale di questi tempi e la stringente necessità di tutte le imprese di rinnovarsi e riorganizzarsi, è dunque importante che le Aziende, e le Parti Sociali ad esse collegate, interiorizzino e facciano comprendere alle loro risorse umane non più strategiche, che la transizione verso nuove situazioni occupazionali è realisticamente (ancorché faticosamente) praticabile e realizzabile. E' doveroso, infatti, guidare le persone a capire che, per come va oggi e nell'immediato domani il mondo del lavoro, l'evoluzione della vita personale e lavorativa non va lasciata alla mercede degli eventi. E', invece, un percorso di conquista nell'ambito di concreti programmi di cambiamento, condivisi tra il lavoratore ed il “Sistema”.
Naturalmente non bisogna banalizzare il problema. Trovare un nuovo lavoro è difficile, molto. Bisogna averne consapevolezza ed esse pronti a fare molta fatica per trovarlo. E non da soli, possibilmente.
Per questo parlo di nuova stagione per l'outplacement. Perché la novità nell'outplacement sta nel rompere vecchi schemi e stereotipi riferiti a tradizionali regole di incrocio domanda/offerta di lavoro.

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