Rapporti di lavoro

Necessario superare i limiti della Fornero

di Aldo Bottini e Matteo Prioschi

L'emendamento proposto al testo della legge delega fa espresso ed esplicito riferimento a una nuova disciplina dei licenziamenti da applicarsi al contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Vengono così consegnati al governo, sul punto delicato della abolizione/modifica dell'articolo 18, criteri direttivi piuttosto specifici per l'esercizio della delega.

Per quelli che vengono definiti licenziamenti economici (cioè i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo), viene espressamente esclusa la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro. Il rimedio per i licenziamenti illegittimi sarà in questo caso il solo indennizzo economico «certo e crescente con l'anzianità di servizio». Il che, tra l'altro, sembra escludere la discrezionalità del giudice nella determinazione dell'indennizzo medesimo, che nel sistema attuale si esercita tra un minimo e un massimo di mensilità.

La reintegrazione resterà solo per i licenziamenti nulli e discriminatori e per «specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato». Al legislatore delegato il non facile compito di delimitare l'ambito residuo di applicazione del rimedio della reintegrazione per i licenziamenti disciplinari, identificando le relative «specifiche fattispecie». Si riproporrà dunque, ma solo con riferimento ai licenziamenti disciplinari, il tema dell'individuazione della linea di confine tra reintegrazione e indennizzo, che già ha visto rilevanti incertezze e contrasti giurisprudenziali nei primi due anni di applicazione della riforma Fornero.

Il criterio fondamentale individuato dalla norma attuale per la scelta tra reintegrazione e indennizzo è la sussistenza o meno del fatto posto a base del licenziamento. Già all'indomani della riforma si è però cominciato a discutere, in dottrina e in giurisprudenza, su cosa dovesse intendersi per “fatto”. Alcuni hanno sostenuto, e sostengono tuttora, che il fatto in questione non sia l'accadimento nella sua materialità bensì il fatto “giuridico”, che comprende tutti gli elementi di contorno tra cui, soprattutto, il giudizio di proporzionalità. Con la conseguenza di dilatare l'ambito di applicazione della reintegrazione al punto da non lasciare spazio alcuno per l'ipotesi del solo indennizzo. Dal punto di vista pratico ciò significa che, per esempio, a fronte della sottrazione di indumenti utilizzati per lavorare forniti dall'azienda, il licenziamento può non scattare perché il giudice ritiene che non ci sia una particolare rilevanza disciplinare.

Altri hanno invece inteso il fatto come “fatto materiale”, con la conseguenza che l'eventuale “sproporzione” del licenziamento può far ritenere illegittimo il licenziamento, con applicazione però del solo indennizzo e non della reintegrazione. Quindi, per esempio, non attenersi alle direttive aziendali e adottare un comportamento non consono e non autorizzato, anche se non ritenuto tale da giustificare il licenziamento non portano alla reintegrazione del lavoratore.

La Cassazione, nella recentissima sentenza 23669 del 6 novembre 2014, ha autorevolmente avallato quest'ultima opzione interpretativa, chiarendo che, ai fini della decisione sulla sanzione da applicare, va considerata solo l'esistenza del fatto materiale senza margini per valutazioni discrezionali “di contesto”.

Nel delimitare i casi di reintegrazione, il legislatore delegato dovrà far tesoro dell'esperienza di questi anni, cercando di evitare il ripetersi delle incertezze che l'hanno caratterizzata. Incertezze certamente moltiplicate dal fatto che la legge prevede espressamente la reintegrazione nell'ipotesi in cui il licenziamento sia stato irrogato per una infrazione che il codice disciplinare (di origine contrattuale collettiva o aziendale) punisce con un provvedimento di tipo conservativo. Il che, considerata la genericità della maggior parte delle tipizzazioni dei comportamenti previste dai contratti collettivi, ha consentito ai giudici ampi margini di discrezionalità, aumentando notevolmente i casi di reintegrazione.

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