Rapporti di lavoro

Trasferimento del lavoratore: quali verifiche preliminari per il datore di lavoro?

di Alberto Bosco

La disciplina del trasferimento del lavoratore è contenuta nell'articolo 2103 del codice civile, il quale dispone che questi non può essere trasferito da un'unità produttiva a un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive; nonché nei contratti collettivi.
Il trasferimento consiste nel mutamento definitivo del luogo in cui il lavoratore deve svolgere la propria prestazione lavorativa, a differenza del distacco e della trasferta, che hanno invece natura temporanea, e che esso può riguardare uno o più lavoratori.
Nella generalità dei casi, il trasferimento – ricadendo nell'ambito del potere direttivo, organizzativo e gerarchico posto in capo al datore di lavoro con la firma del contratto – non richiede il consenso del prestatore subordinato; è tuttavia possibile che precise limitazioni a tale riguardo siano previste nel contratto collettivo o in quello aziendale: è quindi opportuno, prima di disporre il trasferimento ad altra sede, condurre una verifica in tal senso.
Una volta optato per il trasferimento, un'ulteriore verifica concerne l'eventuale periodo di preavviso che va concesso al dipendente prima che il provvedimento sia definitivamente attuato: a tale proposito si rammenta che taluni CCNL stabiliscono tale periodo con riguardo all'età (o anzianità di servizio) del lavoratore e alle sue condizioni familiari.
Può anche accadere che il trasferimento sia richiesto dal lavoratore, per esigenze sue personali: in tal caso – salva la ricorrenza di alcuni casi particolari di cui si dirà appena sotto – il datore di lavoro può liberamente valutare se tale richiesta coincida con i propri interessi, essendo quindi totalmente libero di accoglierla (anche solo per una determinato periodo di tempo), ovvero rigettarla, senza dover addurre particolari motivazioni.
Vi sono poi alcune ipotesi particolari, che meritano di essere evidenziate, e che consistono in quanto segue:
a) l'articolo 15 della legge 20 maggio 1970, n. 300, esplicitamente dispone è nullo qualsiasi patto o atto diretto a licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti a causa della sua affiliazione o attività sindacale, ovvero della sua partecipazione a uno sciopero; tali disposizioni si applicano altresì ai patti o atti diretti a fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso;
b) l'articolo 22 della legge citata appena sopra prevede che il trasferimento dall'unità produttiva dei dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'art. 19 (e delle RSU), dei candidati e dei membri di commissione interna può essere disposto solo previo nulla osta delle associazioni sindacali di appartenenza (tali disposizioni si applicano sino alla fine del terzo mese successivo a quello in cui è stata eletta la commissione interna per i candidati nelle elezioni della elezione stessa, e sino alla fine dell'anno successivo a quello in cui è cessato l'incarico per tutti gli altri);
c) l'articolo 78 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, dispone che gli amministratori locali che siano lavoratori dipendenti, pubblici e privati, non possono essere soggetti, se non per consenso espresso, a trasferimenti durante l'esercizio del mandato; inoltre, la richiesta di tali lavoratori di avvicinamento al luogo in cui viene svolto il mandato amministrativo deve essere esaminata dal datore di lavoro con criteri di priorità;
d) infine, in base all'art. 33 della legge n. 104/1992, i lavoratori dipendenti che hanno diritto a fruire dei permessi mensili per l'assistenza ai portatori di handicap hanno diritto a scegliere, se possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non possono essere trasferiti senza il loro consenso ad altra sede (analoga previsione vige anche a favore dei lavoratori portatori di handicap).
Merita poi ricordare che il provvedimento di trasferimento è valido a prescindere dal fatto che esso contenga o meno i motivi che lo sorreggono; certo è che, se il lavoratore richiede le motivazioni, il datore di lavoro è obbligato a fornirle e, in caso di ulteriori contestazioni, a provarne l'esistenza in giudizio.
Infine, in base a quanto previsto dall'articolo 32, comma 3, della legge 4 novembre 2010, n. 183, le disposizioni in tema di impugnazione del recesso (in forma scritta, entro 60 giorni a pena di decadenza), si applicano anche al trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento.

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