Rapporti di lavoro

Tfr in cedolino con tassazione ordinaria

di Nevio Bianchi e Barbara Massara

Se il lavoratore dipendente potrà contare su una maggiore liquidità, anche per lo Stato il Trattamento di fine rapporto (Tfr) in busta paga è un affare. Nonostante l'erogazione sia a titolo sperimentale e di durata non superiore a tre anni, l'importo che sarà corrisposto mensilmente dal datore di lavoro su richiesta del lavoratore anziché essere qualificato come anticipo del Tfr viene definito, infatti, come una «integrazione della retribuzione» e secondo quanto prevede la norma non soggetto a tassazione separata, ma ordinaria.

Ipotizzando quindi una aliquota marginale media del 27%, per ogni 100mila euro che i datori di lavoro corrisponderanno ai dipendenti che ne fanno richiesta lo stato incasserà 27mila euro d'imposte. Non c'è dubbio, allora, che se il ricorso dei lavoratori a questa forma di integrazione della retribuzione sarà consistente, per lo Stato sarà una buona notizia, considerato che se invece essa resta in azienda, o viene trasferito alla tesoreria Inps o alla previdenza complementare le entrate per l'erario sono limitate al 17% della rivalutazione (considerato l'incremento previsto dalla legge di stabilità dall'11% al 17%).

Non è solo questa la caratteristica di questo nuovo istituto retributivo chiamato «integrazione della retribuzione». Oltre a essere una misura sperimentale, per ora limitata al periodo tra il 1° marzo 2015 e il 30 giugno 2018, è previsto anche che sia facoltativa. I dipendenti potranno quindi scegliere se percepire mensilmente questo nuovo trattamento economico o continuare a tenere il Tfr in azienda oppure a versarlo alla previdenza complementare, per riscuoterlo, quindi, o alla cessazione del rapporto, o al raggiungimento dei requisiti pensionistici. La nuova scelta in favore della monetizzazione in busta paga da parte di chi aveva optato per lo smobilizzo al fondo pensione comporta, ovviamente, che fino al 30 giugno 2018 al fondo prescelto non sarà più trasferito il Tfr, ma solo i contributi a carico del dipendente e del datore di lavoro. La scelta può essere effettuata da tutti i dipendenti di datori di lavoro privati, con una anzianità presso lo stesso datore di lavoro di almeno sei mesi ad esclusione dei lavoratori domestici e del settore agricolo. Una volta effettuata la scelta, è escluso il ripensamento: stabilisce infatti la norma che «qualora esercitata, è irrevocabile fino al 30 giugno 2018». Non si capisce bene, tuttavia, se il ripensamento sia escluso anche nel caso in cui si cambi datore di lavoro, come succede ora ad esempio per la previdenza complementare.

L'importo corrisposto ai dipendenti sarà la «quota maturanda di cui all'articolo 2120 del codice civile», al netto del contributo dello 0,50% che di norma viene trattenuto prima di accantonare il Tfr.

Pur essendo soggetto a tassazione ordinaria, e quindi per il periodo d'imposta di percezione parte integrante del reddito di lavoro dipendente, l'integrazione della retribuzione non danneggia il “bonus “ di 80 euro. Il secondo comma dell'articolo 6 stabilisce, infatti, che non se ne tiene conto ai soli fini della verifica del limite di reddito complessivo di cui all'articolo 13, comma 1 bis del Tuir. Coloro che lo percepiranno nel 2015, quindi, continueranno ad avere diritto al bonus se, al netto dell'integrazione della retribuzione, non avranno un reddito complessivo superiore a 26mila euro. Per il resto l'integrazione inciderà (negativamente) su tutti gli altri istituti legati al reddito, come il diritto alle detrazioni, il diritto all'assegno per il nucleo familiare, l'Isee, ecetera. L'integrazione non sarà soggetta a contribuzione previdenziale, come temuto da qualcuno, quindi non costituirà un onere aggiuntivo per il datore di lavoro e per il dipendente, anche se per quest'ultimo significa che non inciderà sul suo trattamento pensionistico.

Il periodo durante il quale i lavoratori opteranno per l'integrazione della retribuzione sarà, poi, neutro ai fini dell'accantonamento della liquidazione: essi matureranno solo la rivalutazione o i rendimenti di quanto maturato in precedenza.

Per ovviare alle inevitabili difficoltà che dovranno sostenere dal punto di vista finanziario soprattutto le aziende più piccole, le quali dovranno privarsi d'importi normalmente utilizzate per autofinanziarsi, è stato messo in piedi un particolare sistema di finanziamento garantito dallo Stato attraverso un fondo di garanzia di 100 milioni per l'anno 2015 istituito presso l'Inps. Le banche che erogheranno i prestiti non potranno applicare tassi superiori a quello di rivalutazione del Tfr.

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