Rapporti di lavoro

Risarcibile il danno da infortunio causato da terzi

di Alberto Bosco e Angelo Pompei

L’articolo 2043 del codice civile dispone che “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.
Alla luce di tale fondamentale principio, esaminiamo cosa accade nel caso in cui il lavoratore cada malato o subisca un infortunio a causa di un terzo.

Va anzitutto premesso che il datore di lavoro, trattandosi di evento il cui verificarsi prescinde dalla volontà del lavoratore, è comunque tenuto - ai sensi dell’articolo 2110 del codice civile - alla conservazione del posto per la durata del periodo di comporto prevista dal Ccnl, erogando il trattamento economico spettante al dipendente in relazione alla tipologia di evento occorso.

È del tutto evidente, tuttavia, che tale situazione genera un danno – riflesso e immediato – in capo allo stesso datore di lavoro, il quale si vede da un lato privato della prestazione e, dall’altro, onerato del relativo trattamento economico nel suo complessivo ammontare (il cosiddetto costo diretto e riflesso della retribuzione). Che fare dunque?

La risposta viene da un consolidato orientamento giurisprudenziale – il cui caposaldo è costituito dalla decisione numero 6132 delle Sezioni unite della Corte di cassazione, depositata il 12 novembre 1988 – in cui si afferma che “il responsabile di lesioni personali in danno di un lavoratore dipendente, con conseguente invalidità temporanea assoluta, è tenuto a risarcire il datore di lavoro per la mancata utilizzazione delle prestazioni lavorative, la quale integra un ingiusto pregiudizio, a prescindere dalla sostituibilità o meno del dipendente, causalmente ricollegabile al comportamento doloso o colposo di detto responsabile. Tale pregiudizio, in difetto di prova diversa, è liquidabile sulla base dell’ammontare delle retribuzioni e dei contributi previdenziali, obbligatoriamente pagati durante il periodo di assenza dell’infortunato, atteso che il relativo esborso esprime il normale valore delle prestazioni perdute (salva restando la risarcibilità dell’ulteriore documento in caso di comprovata necessità di sostituzione del dipendente)”.

Tale principio è stato peraltro ribadito dalla stessa Suprema corte con la sentenza 2844 del 9 febbraio 2010, secondo la quale gli esborsi a titolo di retribuzione, effettuati dal datore di lavoro, in adempimento di un dovere fissato dalla legge o dal contratto, in favore del dipendente per il periodo di inabilità temporanea conseguente a infortunio, e, quindi, senza ricevere il corrispettivo costituito dalle prestazioni lavorative, insieme ai contributi dovuti agli enti, integrano un danno che si ricollega con nesso di causalità all’infortunio, e, come tale, deve essere risarcito dal terzo responsabile del fatto medesimo.

Con particolare riguardo agli infortuni, per concludere, va sinteticamente ricordata l’esistenza delle azioni di regresso e di surroga: con la prima, nel caso di responsabilità del datore di lavoro o del dipendente, l’Inail può rivalersi nei confronti del datore di lavoro civilmente responsabile per chiedergli le indennità dovute al lavoratore infortunato (articolo 11 del Dpr 1124/1965). Con la seconda, ossia con il diritto di surroga, disciplinato dall’articolo 1916 del codice civile, l’istituto assicuratore può agire direttamente nei confronti del terzo responsabile dell’infortunio, surrogandosi nei diritti del lavoratore infortunato, a condizione che vi sia responsabilità del terzo e l’Inail abbia indennizzato il lavoratore.

Da ultimo, per quanto concerne l’Inps, per maggiori approfondimenti è opportuno richiamare le istruzioni che sono state fornite dall’istituto con la circolare 134/2011 e con il messaggio 20275/2011.

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