Rapporti di lavoro

Dopo due anni pochi fondi al traguardo

di Nevio Bianchi e Barbara Massara

Sembra perdurare un innaturale silenzio a proposito dei Fondi di solidarietà previsti dalla legge 92/2012 (legge Fornero). Ad oltre due anni dall'entrata in vigore della legge che istituiva i Fondi ‘supplenti' per le aziende prive di cassa integrazione, ne risultano attivi solo sei, finalizzati a erogare prestazioni economiche in caso di sospensione o di cessazione dell'attività lavorativa. Questo lo stato dell'arte che risulta dall'allegato al messaggio Inps 6897/2014, dove troviamo elencati i fondi del Gruppo poste italiane spa, del Credito cooperativo, del gruppo F.S., del trasporto aereo e sistema aeroportuale, del settore assicurativo e di assistenza e, infine, del settore credito. La maggior parte sono fondi già esistenti, adattati alle nuove regole.

L'obiettivo della legge Fornero, esplicitato all'articolo 3, era concepito invece in modo molto diverso: entro il 2013, tutti i lavoratori di aziende alle quali non si applicava la normativa sulla integrazione salariale, avrebbero dovuto avere garantita una tutela analoga attraverso i fondi di solidarietà con una profonda innovazione rispetto ai lavoratori beneficiari della cassa integrazione. Questo ammortizzatore sociale, infatti, doveva essere per la prima volta autofinanziato da aziende e lavoratori e non più dallo Stato.

La riforma Fornero attribuiva nel luglio del 2012 alle parti sociali, rappresentanze sindacali sia dei lavoratori sia dei datori di lavoro, il compito di concordare, nel rispetto delle linee guida previste dalla legge, le forme e le modalità attraverso cui garantire queste tutele. In questo quadro, il Fondo da istituire presso l'Inps doveva rivestire un ruolo teoricamente ‘residuale', vale a dire riservato a quei pochi settori per i quali, entro la fine del 2013, non si fosse riuscito a trovare un accordo. A più di due anni dall'entrata in vigore della Riforma, la realtà ha capovolto la previsione normativa: il Fondo Inps da residuale è assurto a fondo principale, quasi unico, dal momento che in numerosi settori di primo piano, come il terziario o il turismo, le procedure sindacali di istituzione dei fondi dedicati non si sono nemmeno avviate.

Risulta difficile capire come debba essere interpretato questo silenzio: se semplice disinteresse o voluta ostilità alla soluzione indicata chiaramente dal legislatore. Eppure, sembra difficile pensare a soluzioni diverse. Da una parte, infatti, non può più essere ammissibile che alcuni lavoratori siano tutelati e altri no (o lo diventino, come nel caso della cassa integrazione in deroga, in modo disorganico e dispendioso) e, dall'altra, difficilmente si può pensare che lo Stato si faccia carico a tempo indeterminato dei costi di questi ammortizzatori sociali.

Pertanto, nel panorama normativo e concreto delle finanze pubbliche, non sembrano contemplabili reali alternative alla formula escogitata dal governo Monti. Rimane da considerare allo stesso tempo che il Ddl 1428, più noto come Jobs Act, prevede deleghe al governo anche ‘in materia di ammortizzatori sociali': forse anche i fondi di solidarietà e quello residuale saranno oggetto di riordino da parte del governo? Nel disegno di legge mancano, allo stato attuale, maggiori indicazioni in proposito.

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