Rapporti di lavoro

Per il Tfr un'opportunità con molte incognite

di Antonino Cannioto e Giuseppe Maccarone

Nonostante le opinioni contrarie espresse da buona parte degli operatori e dalle associazioni di categoria, il progetto governativo di inserire il Tfr in busta paga prende corpo ogni giorno di più. Per comprendere meglio la portata dell'intervento potrebbe essere utile distinguere le macro aeree del tessuto aziendale su cui opererà la novità.

Aziende che occupano fino a 49 dipendenti.
Per i lavoratori che hanno optato per la previdenza complementare non dovrebbe cambiare nulla, sempre che non si prenda in considerazione l'eventualità (remota) di concedere la possibilità di una nuova scelta. Per i dipendenti che, invece, hanno deciso di lasciare il Tfr in azienda si aprirebbe la possibilità di optare per l'incasso periodico. A questo punto dovrebbe entrare in scena il sistema bancario per farsi carico dell'importo da pagare (quindi non sarà il datore di lavoro a sborsare il denaro). Al momento della cessazione del rapporto, il datore di lavoro trasferirebbe alla banca l'ammontare del Tfr anticipato al lavoratore.

Proviamo a immaginare la triangolazione che verrebbe realizzarsi tra il datore di lavoro, il lavoratore (che ha scelto la monetizzazione) e la banca (qualunque sia l'istituto designato). Supponiamo che il pagamento del Tfr (tutto o metà di esso) sia monetizzato un volta l'anno (si parla del mese di febbraio). Va da sé che il datore di lavoro dovrà - al momento del pagamento - emettere un cedolino di paga e per rimanere sostituto di imposta, erogare direttamente il Tfr al lavoratore e provvedere alla sua tassazione e al conseguente versamento all'erario dell'imposta trattenuta.

L'intervento della banca servirà per alleggerire il datore di lavoro dell'onere dell'esborso. Si presume che tra la banca e l'impresa si attivi un canale telematico attraverso cui scambiarsi le informazioni finalizzate al recupero degli importi pagati dal datore di lavoro. Se questa sarà la scelta, è auspicabile che vengano fissati i termini di rimborso. Questa meccanismo, però, non aiuterebbe nei casi in cui l'impresa versi in grave crisi di liquidità (oggi è facile trovare aziende che riescono a malapena a pagare gli stipendi, alcune lo fanno con ritardo o corrispondendo continui acconti). Per non parlare, poi, dei debiti accumulati con l'erario e gli enti previdenziali.

Per chi si trova in questa situazione l'unica via percorribile è prevedere che il pagamento lo esegua direttamente la banca. In tale situazione la vicenda si complica. Si ritiene che il compito di ricevere la richiesta del lavoratore, di emettere il cedolino di paga e di tassare il Tfr sia sempre in capo al datore di lavoro. Fatto questo, l'azienda dovrà trasmettere alla banca l'elenco dei dipendenti coinvolti, il loro Iban e gli importi netti di Tfr che la banca dovrà pagare dopo aver acquisito il diritto a incassare il Tfr in luogo del lavoratore che ha beneficiato della monetizzazione. La tempistica per eseguire le operazioni è ristretta in quanto il tutto dovrebbe svolgersi nel periodo di paga. Restano in capo al datore di lavoro tutti gli altri adempimenti: versamento della ritenuta fiscale, certificazione con modello CU e redazione del 770.

Aziende che occupano da 50 dipendenti in su
Anche i lavoratori di aziende più grandi avranno la possibilità di scegliere se incassare il Tfr oppure lasciarlo accantonato per percepirlo al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Per questa tipologia di aziende gioca una ruolo fondamentale il Fondo di tesoreria gestito dall'Inps che, dal 1° luglio 2007, incassa le quote del trattamento relative ai lavoratori che non hanno aderito alla previdenza complementare. In tale realtà, l'impatto della monetizzazione del Tfr è meno invasivo per l'azienda in quanto il datore di lavoro già si spossessa mensilmente del trattamento di fine rapporto per versarlo ai fondi pensione oppure alla Tesoreria.

Si presume che per il datore di lavoro restino validi e operanti gli adempimenti che già effettua con l'istituto di previdenza e che l'operazione di finanziamento dovrebbe coinvolgere direttamente l'Inps e la banca. Nella circostanza, la logica è: il datore di lavoro continua a versare alla Tesoreria, la banca anticipa al lavoratore e a fine rapporto l'Inps paga il Tfr direttamente alla banca.

Criticità comuni
Alcune considerazioni si possono svolgere in merito alla facoltà di scelta. Sembra farsi largo la possibilità che la monetizzazione del Tfr sia volontaria: sarà il lavoratore a decidere e, si presume, potrà farlo in qualunque momento. Si ritiene che, nel contesto, la scelta della previdenza complementare sia prioritaria, cioè valga su tutte e sia immodificabile. Tuttavia è facile supporre che molti lavoratori che tempo fa hanno optato per la previdenza complementare in assenza della monetizzazione del Tfr, un domani - vista la possibilità di aumentare il netto della loro busta paga – non farebbero la stessa scelta. Forse tali soggetti gradirebbero una possibilità di ripensamento, ma ciò non è possibile in assenza di una modifica normativa, senza sottovalutare le ricadute negative che si verrebbero a generare per i fondi pensione.

Tuttavia non si può non evidenziare il differente scenario che tuttora è a disposizione di chi decide di optare per la previdenza complementare rispetto a quello che si andrebbe a delineare con l'introduzione della monetizzazione del Tfr. Di fatto si aggiungerà una terza possibile opzione, con la conseguenza - a parere di scrive – che a tutti i lavoratori dovrebbe essere concessa la possibilità di riformulare la propria scelta.

La monetizzazione generalizzata del Tfr dovrà far acuire l'attenzione degli addetti all'amministrazione del personale, con riferimento a quelle situazioni in cui il Tfr è stato dato in garanzia di cessione del quinto, prestiti, finanziamenti eccetera. In presenza, infatti, di un finanziamento, il Tfr è vincolato per tutta la durata del prestito. In caso di cessazione del rapporto e di incapienza della retribuzione e delle varie competenze finali dovute, l'ammontare residuo del prestito può essere decurtato dal Tfr spettante al lavoratore. Resta nella disponibilità del dipendente la parte di trattamento superiore all'ammontare residuale del prestito. Si dovrà evitare, dunque, che il Tfr si esaurisca e che ne resti sempre una parte per fronteggiare l'eventuale necessità di rimborso del prestito.

La nuova regolamentazione, se verrà adottata, dovrebbe decorrere dal 1°gennaio del prossimo anno. Il Tfr accantonato presso il datore di lavoro, ovvero presso la tesoreria sino al 31 dicembre 2014, dovrebbe rimanere estraneo all'innovazione. Per evitare onerosi aggravi per le aziende sarebbe opportuno che il pagamento avvenisse annualmente e non ogni mese. E'difficile, tuttavia, ipotizzare che il primo passaggio in busta del Tfr slitti al 2016. E' più ragionevole immaginare che la prima monetizzazione avverrà nel corso del primo semestre del 2015 ma, se così sarà, resta da capire a quale periodo dovrà riferirsi il primo Tfr monetizzato, atteso che quello del 2014, in molti casi, ha già seguito la sua sorte. Una volta decisa la data spartiacque, sul Tfr precedentemente accantonato continuerà ad applicare la disciplina dettata dall'articolo 2120 del codice civile.

Un'operazione complessa quella che si sta avviando, che presenta più ombre che luci il cui risultato dal punto di vista complessivo potrà valutarsi con il tempo. Restano, tuttavia, alcuni punti fermi: non viene assolutamente valutato il profilo connesso agli aspetti previdenziali derivanti dal possibile negativo impatto sulla scelta per la previdenza complementare che sarebbe penalizzata dal possibile ricorso in massa alla monetizzazione; è evidente, d'altra parte, l'obiettivo di incrementare il gettito fiscale realizzato dall'anticipo della tassazione del Tfr e dal possibile aumento del gettito Iva conseguente all'auspicato aumento dei consumi. Vi è da sperare che al momento della scelta i lavoratori riflettano attentamente prima di assumere una decisione. Non è sempre detto che valga il principio: “meglio l'uovo oggi che la gallina domani”.

Il parere della Fondazione studi dei consulenti del lavoro

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