Rapporti di lavoro

Contratti e merito, bussola per gli incarichi

di Giampiero Falasca

Si parla tanto - forse anche troppo - della flessibilità in uscita, e si finisce per dimenticare che la forma di flessibilità più importante è quella cosiddetta funzionale: la possibilità di gestire la prestazione lavorativa secondo modalità coerenti con le evoluzioni produttive e organizzative del datore di lavoro.

Quindi, possibilità di cambiare gli orari di lavoro ma, soprattutto, di modificare le mansioni in funzione degli eventuali cambiamenti che intervengono nell'organizzazione del lavoro.

La possibilità di variare le mansioni, in generale, è soggetta a limiti molto stringenti, tanto che da più parti viene sollevata l'esigenza di allentare alcune limitazioni; di fatto, l'attuale diritto del lavoro considera il dipendente come un soggetto che può solo avere avanzamenti di carriera e di posizione, mentre non ammette alcun arretramento, anche solo parziale. Tale rigidità non aiuta i lavoratori maturi che, anzi, spesso sono espulsi dal ciclo produttivo proprio perché vengono schiacciati da questo meccanismo.

La questione diventa ancora più complessa se si parla di pubblico impiego e, soprattutto, se viene affrontata da una diversa angolazione, quella dei criteri da utilizzare per il conferimento degli incarichi di posizione organizzativa.

Per il conferimento di questi incarichi, il problema che si pone non riguarda tanto la necessità di evitare possibili problemi di demansionamenti del lavoratore quanto, piuttosto, l'esigenza di definire criteri di accesso alla posizione che non escludano ingiustamente qualcuno dalla possibilità di concorrere al conferimento dell'incarico.

Come ricorda la Corte di cassazione nella sentenza 19223/2014, il datore di lavoro pubblico ha un margine di discrezionalità per definire i criteri da utilizzare per assumere le posizioni organizzative, ma tale discrezionalità non può trasformarsi in arbitrio assoluto.
Per misurare l'arbitrarietà oppure la correttezza dei criteri, la sentenza giustamente dà grande rilevanza alla coerenza dei requisiti selettivi con le caratteristiche della posizione da assegnare definite dal contratto collettivo.

Questo criterio appare ragionevole, perché la contrattazione collettiva è da sempre la sede più adatta a definire in concreto i contenuti delle diverse posizioni professionali che possono essere ricoperte dai lavoratori.

Un altro elemento importante è quello della valutazione comparativa degli aspiranti: sembra quasi superfluo ricordarlo, ma il criterio del merito non può mai essere abbandonato.

Cassazione sentenza 19223

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