Contenzioso

Riposi, la sanzione può cambiare

di Stefano Rossi

Sanzioni più leggere per i datori di lavoro che nel periodo dal 1° settembre 2004 al 24 giugno 2008 hanno commesso violazioni in materia di orario di lavoro. È l'effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 153 del 4 giugno 2014.
Ma lo "sconto", secondo le indicazioni fornite dal ministero del Lavoro, vale soltanto per le situazioni giuridiche ancora aperte o pendenti. Il dicastero, infatti, con la lettera circolare 37 del 10 luglio 2014, ha fornito indicazioni operative ai propri uffici territoriali, in seguito alla sentenza della Consulta che ha dichiarato l'illegittimità, per contrasto con l'articolo 76 della Costituzione, dell'articolo 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo 66 dell'8 aprile 2003, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 1, lettera f), del Dlgs 213/2004, in materia di apparato sanzionatorio della disciplina sulla durata massima dell'orario di lavoro, sui riposi giornalieri, settimanali e ferie annuali. In sostanza, afferma la Corte, le modifiche introdotte dal decreto legislativo 213/2004 hanno comportato un sensibile aggravamento delle misure sanzionatorie rispetto alle sanzioni previste dal regio decreto legge 692/1923 e dalla legge 370/1934. Le due normative, infatti, sono sostanzialmente identiche poiché sanzionano l'eccesso di lavoro e lo sfruttamento del lavoratore, ponendo limiti all'orario di lavoro giornaliero e settimanale e imponendo periodi di riposo. Quindi, conclude l'estensore, introdurre un regime sanzionatorio sensibilmente più severo rispetto a quello previgente, contrasta con la legge delega 39/2002, che richiedeva sanzioni identiche per violazioni omogenee.
La linea del ministero
Il ministero ha evidenziato innanzitutto che la sentenza esplica i propri effetti sulle violazioni commesse nel periodo dal 1° settembre 2004 al 24 giugno 2008, senza interessare le successive modifiche legislative.
Inoltre, la perdita di efficacia della disciplina introdotta dal decreto legislativo 213/2004 incide su tutte le situazioni giuridiche pregresse che siano ancora aperte o pendenti, mentre non investe le vicende "chiuse". Così, gli uffici legali delle Direzioni territoriali dovranno rideterminare gli importi delle sanzioni sulla base della vecchia disciplina:
- se non si è arrivati ancora all'emissione dell'ordinanza di ingiunzione;
- se per l'ordinanza di ingiunzione emessa i termini per proporre opposizione non siano spirati;
- se, in caso di opposizione proposta, il relativo giudizio sia ancora pendente o, comunque, non sia intervenuta sentenza passata in giudicato.
In tutti gli altri casi, compresi i verbali già pagati, non si avrà alcuna estensione degli effetti della sentenza della Corte Costituzionale, con la conseguente intangibilità degli atti adottati.
Il ragionamento del ministero è già stato seguito dall'agenzia delle Entrate, in virtù dei principi di certezza dei rapporti giuridici e di legittimo affidamento. L'Agenzia riconosce ai contribuenti la possibilità di chiedere la restituzione di somme versate a fronte di una norma rivelatasi poi incostituzionale, solo quando i rapporti non siano «esauriti» (circolare 49/E del 16 marzo 2000 e circolare 28/E del 20 marzo 2001). La stessa giurisprudenza consolidata della Cassazione afferma che sono salve, dalle sentenze di incostituzionalità, le situazioni giuridiche «consolidate» a opera di eventi che l'ordinamento riconosce idonei a produrre effetti, quali le sentenze passate in giudicato, l'atto amministrativo non più impugnabile, la prescrizione e la decadenza (Cassazione, sentenza 10783/2014).
L'Associazione nazionale dei consulenti del lavoro, con un comunicato del presidente Francesco Longobardi, aveva annunciato l'intenzione di organizzare una class action contro la pubblica amministrazione competente alla riscossione, a tutela delle imprese «assoggettate alle illegittime maggiorazioni» e a tutela «dei consulenti del lavoro che hanno governato le procedure amministrative e i contenziosi in materia».

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