Adempimenti

Nelle Casse sanitarie tassabili i contributi «extra»

di Renzo Parisotto e Giovanni Renella

Senza un intervento del legislatore, le casse sanitarie potranno continuare a beneficiare del regime di “decommercializzazione” solo se non percepiranno “corrispettivi specifici”. Infatti, il decreto legislativo 105/2018 (provvedimento correttivo del Codice del terzo settore) non ha recepito la proposta di modifica all’articolo 89, comma 4 del Codice del terzo settore (Dlgs 117/2017), approvata dal Consiglio dei ministri lo scorso 21 marzo.

Nella circolare 36/2018 Assoprevidenza ha evidenziato che la correzione non è stata fatta in quanto valutata fuori dalla delega prevista dalla legge 106/2016, che ha conferito al Governo solo il potere di introdurre modifiche strettamente tecniche alle disposizioni del Codice del terzo settore (parere del Consiglio di Stato 00731/2018).

La modifica avrebbe ripristinato, nell’ambito dell’articolo 148, comma 3 del Testo unico delle imposte sui redditi, la presunzione di “non commercialità” delle attività svolte delle associazioni assistenziali anche a fronte di corrispettivi specifici.

Come ricordato da Assoprevidenza nella circolare 10/2018 – commentando un interpello, non pubblicato, dell’inizio del 2018 circa il regime fiscale applicabile a una cassa sanitaria – per l’agenzia delle Entrate la perdita del regime di “decommercializzazione” dovuta alla presenza di corrispettivi specifici determina l’assoggettamento a tassazione (reddito d’impresa o redditi diversi a seconda che le relative operazioni abbiano carattere di abitualità o di occasionalità) dei contributi e delle quote versate.

In base ai commi 1 e 2 dell’articolo 148 del Tuir si desume che per corrispettivi specifici si debbano intendere quelle somme che, nell’ambito di un ente di tipo associativo, sono richiesti agli associati o partecipanti a fronte di prestazioni maggiori o diverse rese in loro favore («in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto»).

Ne discende quindi che, in linea generale, gli enti di tipo associativo diversi da quelli individuati dal comma 3 dell’articolo 148, nei limiti dei propri statuti/regolamenti:

possono erogare prestazioni rientranti nelle loro finalità istituzionali agli associati o partecipanti e loro beneficiari a fronte del pagamento di quote o contributi associativi che danno diritto a ricevere le prestazioni, cioè prestazioni previste a favore di tutti gli associati o partecipanti (“prestazioni standard”). Si ritiene tuttavia che l’espressione «tutti gli associati» non impedisca eventuali differenziazioni di quote o contributi associativi per categorie di associati o partecipanti – senza quindi che ciò costituisca corrispettivo specifico –, nel caso in cui ciò dia luogo all’erogazione di prestazioni comunque standardizzate sia pure per categorie e non determini l’erogazione di prestazioni maggiori o diverse a fronte di prezzi specificamente e singolarmente fissati;

non possono erogare prestazioni supplementari (maggiori o diverse), ancorché rientranti nelle finalità istituzionali e a favore dei propri associati o partecipanti, là dove per l’erogazione di tali prestazioni sia previsto il pagamento di un prezzo (un corrispettivo specifico).

Le regole contenute nel Codice del terzo settore non sono ancora vigenti, in quanto è prevista la loro entrata in vigore a partire dal periodo d’imposta successivo all’approvazione da parte dell’Ue delle disposizioni fiscali contenute nel Codice e all’istituzione del Registro unico nazionale del terzo settore, per la quale si attende l’emanazione dell’apposito regolamento.

Quindi c’è ancora spazio per scongiurare l’effetto negativo della riforma per enti/casse, per lo più costituiti direttamente o indirettamente da sindacati e/o da datori di lavoro, che rendono prestazioni a favore di una platea di oltre 11 milioni di assistiti, sostituendo e affiancando il servizio sanitario nazionale.

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