Adempimenti

Pensiero critico per affrontare le sfide del lavoro

di Stefano Micelli

In un Paese in cui il 47% delle imprese metalmeccaniche fatica a trovare personale con competenze adeguate quando le statistiche ufficiali parlano di 1,8 milioni di disoccupati fra i 25 e i 49 anni la priorità della politica nazionale dovrebbe essere formazione e riqualificazione professionale. Non solo perché il lavoro è una priorità, ma anche perché l’esito della rivoluzione tecnologica che stiamo vivendo dipende principalmente dagli investimenti in conoscenze e competenze che siamo disposti a mettere in campo nell’arco dei prossimi anni.

Il tema della formazione è materia delicata. Non si tratta semplicemente di allocare risorse sulla scia di percorsi apparentemente consolidati. Il tema della formazione, in particolare della formazione tecnica necessaria ad affrontare l’evoluzione di settori come quello metalmeccanico, richiede una riflessione anche sul piano qualitativo. I protagonisti del Made in Italy di domani non hanno il profilo di chi ha lavorato in fabbrica trent’anni fa ed è difficile che rialzando la cattedra dei professori di qualche centimetro avremo trovato la soluzione al problema.

Una recente ricerca sviluppata dal Miur fornisce indicazioni utili a riguardo. L’indagine, condotta su una popolazione di seicento imprese appartenenti prevalentemente al comparto manifatturiero, esplicita le richieste delle imprese riguardo ai giovani da inserire in azienda. Se si considerano i dati relativi al comparto della meccanica e della meccatronica, uno dei settori maggiormente consapevoli rispetto alle trasformazioni tecnologiche in corso, emergono per importanza le cosiddette soft skills, competenze trasversali che superano nelle preferenze delle imprese quelle legate a specifici ambiti di attività (produzione, manutenzione, controllo qualità).

Cosa sono esattamente queste soft skills così apprezzate dalle imprese? Secondo i numeri della ricerca, un primo set di competenze soft riguarda la capacità di lavorare in gruppo mentre un secondo gruppo di competenze particolarmente richiesto è la capacità di definire problemi (problem setting) e di risolverli (problem solving). Grandi e piccole imprese assegnano priorità a chi sa operare in team per affrontare i problemi in modo originale e fattivo. Ciò non significa che le imprese non apprezzino competenze in domini specifici (programmazione software, scienza dei materiali, robotica). Piuttosto riconoscono l’importanza di profili professionali a “T”, espressione che negli ultimi dieci anni ha sintetizzato l’importanza di un doppio investimento su saperi verticali (la gamba verticale della T) e competenze orizzontali come la capacità di dialogo e di interazione con i collaboratori (il tratto orizzontale).

È legittimo domandarsi quanto sia pronto il nostro sistema formativo ad affrontare un cambiamento che, per molti aspetti, appare epocale. La scuola italiana ha privilegiato storicamente l’apprendimento individuale di discipline ben definite. La didattica del futuro non potrà replicare modelli obsoleti. Non si tratta di aggiungere questa o quella materia nell’ambito di un programma ministeriale ma di ripensare come imparano i giovani e come i professori potranno stimolare e accompagnare questi processi di apprendimento.

Sarebbe poco generoso tacere sulle tante sperimentazioni avviate nel Paese per passare da modelli formativi tradizionali a una didattica attiva. I progetti avviati in questi anni sono tanti e alcuni hanno avuto successo. Il campo della formazione tecnica e professionale ha rappresentato un interessante banco di prova per nuove metodologie proprio i temi di industria 4.0. Da due anni a questa parte, ad esempio, il Miur ha avviato un’iniziativa chiamata Its 4.0 che vede impegnate le Fondazioni e le imprese per dare la possibilità agli studenti di affrontare e risolvere problemi complessi seguendo metodologie collaudate di gestione dell’innovazione. I risultati sono stati finora molto positivi a conferma che una didattica attiva centrata sul coinvolgimento attivo degli studenti favorisce consapevolezza e pensiero critico oltre che competenza e capacità di lavoro di gruppo.

Se vogliamo dare risposte a una generazione che guarda con apprensione al proprio futuro, queste sperimentazioni meritano di essere sostenute e allargate a una scala radicalmente più ampia. I numeri devono crescere così come l’investimento in personale, laboratori e relazioni con imprese e istituzioni di ricerca. Non si tratta semplicemente di ripensare la formazione tecnica (in particolare il ciclo superiore, ovvero gli Its), ma più in generale di riflettere su come aprire una nuova generazione a un confronto generativo con la tecnologia e con le sfide del futuro.

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