Adempimenti

Solo gli enti bilaterali “doc” possono certificare i contratti di lavoro

di Antonio Carlo Scacco

Certificazione dei contratti di lavoro, degli appalti e dei subappalti consentita solo agli Enti bilaterali costituiti dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative: lo ricorda l'Ispettorato nazionale del lavoro (Inl) con la circolare numero 4 del 12 febbraio.

La precisazione si è resa necessaria a seguito di reiterate segnalazioni circa la pubblicizzazione e lo svolgimento di attività di certificazione da parte di pseudo “Enti bilaterali” privi dei requisiti previsti dalla legge.

L'articolo 76 del decreto legislativo 276/2003 prevede, tra gli organi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro, le commissioni di certificazione istituite presso gli enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale (comma 1 lett. a ). A sua volta l'articolo 2 lett. h) del medesimo decreto legislativo definisce “Enti bilaterali”, ai fini dello svolgimento delle attività certificative, solo quei soggetti costituiti ad iniziativa di una o più associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative.

Pertanto è a tale ultimo criterio (la maggiore rappresentatività in termini comparativi delle costituenti associazioni dei datori e dei lavoratori) che occorre fare riferimento per stabilire la genuinità o meno dell'Ente bilaterale e la idoneità delle attività certificative poste in essere ai fini previsti dalla legge. In mancanza i provvedimenti certificati da tali pseudo Enti, avverte la circolare, saranno considerati “senza tenere minimamente conto delle preclusioni tipiche dell'atto certificativo, adottando anche ogni eventuale provvedimento di carattere sanzionatorio.”.

La nota dell'Ispettorato segue di pochi giorni la precedente del 25 gennaio nella quale lo stesso INL aveva invitato le unità ispettive territoriali a rafforzare la vigilanza circa eventuali effetti derogatori o di integrazione della disciplina lavoristica determinati dall'applicazione di contratti collettivi stipulati da organizzazioni sindacali prive del requisito della maggiore rappresentatività comparativa. Solo il rispetto di tale requisito, infatti, consente la deroga o l'integrazione delle tipologie contrattuali previste dal decreto legislativo 81/2015, a pena di inefficacia.

Il criterio della maggiore rappresentatività comparativa comincia a diffondersi nell'ultimo decennio dello scorso secolo in sostituzione di quello, più tradizionale, della “maggiore rappresentatività”. Il termine “comparativo”, tuttavia, richiede la possibilità di una “misurazione” della rappresentatività sindacale, ovvero la individuazione dei criteri attraverso i quali effettuare tale “misurazione”. Nel settore privato, ad oggi, tali criteri difettano di una esplicita disciplina legislativa. Viceversa numerosi sono gli Accordi delle parti sociali che hanno cercato di ovviare alle carenze del legislatore (ad esempio l'Accordo interconfederale del 10 gennaio 2014 e le successive modifiche del 4 luglio 2017) ma i relativi effetti, trattandosi pur sempre di disciplina contrattuale, non possono essere equiparati a quelli di una norma di legge.

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