Adempimenti

Inquadramento aziendale, ccnl applicabile e contribuzione

di Silvano Imbriaci

I criteri adottati per l'inquadramento aziendale hanno dunque efficacia diretta sul livello minimo di contribuzione assicurata, in quanto ai sensi dell'art. 1, comma 1 del d.l. n. 338/1989 (conv. in l. 389/1989) la contribuzione deve essere calcolata in modo non inferiore rispetto all'importo stabilito da leggi, regolamenti e contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale o da accordi collettivi o contratti individuali qualora ne derivi un importo di retribuzione superiore rispetto a quello previsto dal contratto collettivo (principio del c.d. minimale). Questa disposizione è stata autenticamente interpretata dall'art. 2 venticinquesimo comma della legge n. 549 del 1995, nel senso che in caso di pluralità di contratti collettivi intervenuti per la medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative della categoria” (si tratta del cd. contratto leader). Occorre comunque rilevare che non sempre la regola del minimale risulta di facile applicazione. La norma infatti non sembra imporre alcuna identità o conformità tra la contrattazione collettiva richiamata e quella propria del settore in cui l'impresa datrice di lavoro opera. Il richiamo alla categoria è però contenuto ancora una volta nella successiva legge interpretativa (art. 2 cit.), dove il riferimento alla categoria deve essere inteso come il settore produttivo in cui opera l'impresa. Sarebbe altrimenti non congruo l'obbligo di applicazione, sia pure ai soli fini contributivi, di una contrattazione collettiva vigente in un settore diverso, stante il rilievo pubblicistico della materia, che non può consentire riserve a scelte soggettive, come sopra si è accennato (cfr. Cass. sez. lav. n. 801/2012). Peraltro, i casi in cui può escludersi l'obbligo di osservanza del minimale contributivo non possono essere lasciati alla libera determinazione delle parti del rapporto di lavoro, nel senso che sono tassativi e regolati per legge (ad es. nei casi di sospensione dell'attività lavorativa nell'attività edilizia ex 29 del d.l. n. 244 del 1995, conv. in l. n. 341 del 1995, e dal d.m. 16 dicembre 1996, le ragioni che la possono determinare sono tipiche e oggettivamente verificabili). Secondo la giurisprudenza della Cassazione, la misura di riferimento obbligata rappresentata dalla retribuzione che in un determinato settore sarebbe dovuta in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale, esclude le limitazioni derivanti dall'applicazione dei criteri di cui all'art. 36 C. (il c.d. minimo retributivo costituzionale) che sono invece rilevanti solo quando a detti contratti si ricorre ai fini della determinazione della giusta retribuzione. L'estensione nel settore contributivo è limitata alla parte economica dei contratti solo in funzione di parametro contributivo minimale comune (cfr. Cass. 5/1/2012, n. 16). E' anche vero che l'importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali è quello desumibile dai diversi accordi sindacali o dal contratto individuale quando questi ultimi prevedano una retribuzione superiore alla misura minima stabilita dal contratto collettivo nazionale, mentre solo in caso contrario la contribuzione va parametrata a quella stabilita dalla contrattazione nazionale di settore (cfr. Cass., 23/3/2010, n. 6966).
I rapporti tra il contratto collettivo di riferimento per l'applicazione del minimale contributivo e l'inquadramento sono stretti, anche se non sempre evidenti. Infatti, se normalmente il contratto nazionale di categoria applicabile corrisponde a quello dell'attività classificata, è anche vero che l'applicazione del minimale passa comunque per le regole processuali. E' infatti onere dell'Istituto Previdenziale dimostrare l'esistenza, nel corrispondente settore produttivo, di un contratto collettivo stipulato dai sindacati maggiormente rappresentativi, il quale determini la retribuzione spettante in misura superiore a quella sulla base della quale il datore ha versato i contributi; tale onere deve essere adempiuto mediante l'indicazione e la produzione del contratto collettivo applicabile (Cass. 17/7/2009, n. 16764; cfr. anche Cass. 11/3/2010, n. 5872).
Con l'interpello n. 8 del 12 febbraio 2016, il Ministero del Lavoro ha precisato che i livelli retributivi fissati dai contratti di prossimità non possono derogare comunque ai minimali contributivi indicati dall'art. 1 del d.l. n. 338/1989: tra le materie oggetto di intesa a livello aziendale non è compresa la determinazione dell'imponibile contributivo. In tale contesto trova la sua ragion d'essere quell'indirizzo giurisprudenziale che in materia di agevolazioni contributive non può richiamarsi il principio della libertà sindacale (in funzione neutralizzatrice del disposto di cui all'art. 2070 c.c.), dal momento che l'interesse pubblicistico sotteso alla concessione di detti benefici comporta necessariamente l'applicazione da parte dell'impresa ai propri dipendenti dei contratti collettivi nazionali vigenti per il settore di appartenenza dell'impresa (cfr. Cass. sez. lav. 5/11/1999, n. 12345).

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