Previdenza

Servizi e contratti per coniugare vita e lavoro

di Davide Colombo

Nel Paese con le culle più vuote d’Europa deve ancora nascere una forte politica per la famiglia, mentre quasi l’80% della spesa sociale è riservata a chi ha superato i 65 anni. I numeri sono noti. Secondo la catalogazione Eurostat l’anno scorso la spesa per la famiglia e i minori in Italia non ha superato il 3% del totale delle spesa pubblica, molto meno dell’equivalente finanziario delle sole pensioni di reversibilità (5,5% della spesa), mentre la Francia ha impegnato per le famiglie il 4,4% e i Paesi del nord (Svezia, Danimarca, Norvegia o Irlanda) viaggiavano tra il 5 e il 9%. Bisogna partire da questi numeri per capire quanto ancora bisogna costruire per colmare un ritardo che, anno dopo anno, si riflette nelle statistiche sulla decrescita naturale in pieno corso.

Due giorni fa s’è appreso che nella relazione consegnata dal professor Giacinto della Cananea a Luigi Di Maio con l’«analisi scientifica dei programmi», lo schema di contratto di governo in dieci punti che il Movimento potrebbe siglare con la Lega o con il Pd per formare l’agognato «esecutivo del cambiamento», si prevede un capitolo per la famiglia. Si insiste, in particolare, sull’espansione della rete dei servizi per la prima infanzia, il sostegno monetario al costo dei figli, le politiche di conciliazione. A stilare il decalogo delle convergenze possibili, con l’amministrativista di Tor Vergata hanno collaborato Elena Granaglia e Fabio Giulio Grandis (Roma Tre), Leonardo Morlino (Luiss), Gustavo Piga (Tor Vergata) e Andrea Riggio (Università di Cassino). Tecnici che hanno ben chiari i limiti della tradizione nazionale di politiche per il sostegno delle famiglie e delle natalità. Limiti tutti confermati nell’ultima stagione di “bonus” del Governo Renzi. A fine marzo l’Inps aveva erogato 400.325 “premi alla nascita”, l’assegno unico da 800 euro per ogni figlio nato o adottato/affidato dal gennaio 2017 (una spesa di 320 milioni erogata senza alcuna limitazione di reddito dei nuclei beneficiari su una dotazione finanziaria annua di 392 milioni nel triennio 2017-2019). Mentre per i “bonus nido”, mille euro annui per figlio attivati dal luglio 2017, le domande sono state 85mila, per una spesa di 39 milioni di euro a fronte di un finanziamento disponibile per 144 milioni di euro per il 2017, 250 milioni di euro per il 2018, 300 milioni per il 2019 e 330 milioni di euro annui a decorrere dal 2020.

Sono iniziative (e risorse) che valgono come un primo segnale di recupero in questo genere di politiche distributive. La Finanziaria 2007, legge 296/2006, aveva attivato un Fondo per le politiche della famiglia che, nel 2008, aveva una dotazione di circa 280 milioni, di cui 100 destinati agli asili nido. I tagli lineari imposti dalla crisi lo hanno azzerato: nel 2011 la dote era scesa a 53 milioni, quest’anno è di 4,5 milioni. Risorse con le quali lavora il Dipartimento della Presidenza del Consiglio che coordina l’azione di governo in materia di politiche per la famiglia con le policy sviluppate a livello regionale e comunale, cui il nostro modello di “federalismo” affida un ruolo prevalente. Il mantra condiviso dalla stragrande maggioranza degli esperti del ramo, ribadito all’ultima Conferenza nazionale del settembre scorso, è che manca una visione d’insieme, servono più risorse e un maggiore sinergia tra tutti gli enti coinvolti. Non solo. Per rilanciare le nascite, si sostiene, non bastano gli aiuti monetari: servirebbero servizi ben coordinati e bisognerebbe far crescere il più possibile contratti di secondo livello che sperimentino forme innovative di conciliazione vita-lavoro a favore dei dipendenti (nel triennio 2016-2018 sono previsti sgravi contributivi per circa 35-36 milioni l’anno).

Come s’è fatto per rendere più flessibili i pensionamenti con l’Ape, anche sul fronte degli incentivi alla natalità le risorse scarse hanno acceso l’idea dell’autofinanziamento. Per facilitare prestiti bancari fino a 10mila euro rimborsabili in 7 anni alle famiglie con un nuovo nato o adottato, è stato attivato un fondo rotativo di sostegno con una dote di 24 milioni per il 2018, 23 per il 2019, 13 per il 2020 e 6 a decorrere dal 2021: il Dipartimento affiderà la gestione del fondo a Consap e a breve stipulerà un protocollo d’intesa con Abi. I finanziamenti saranno garantiti a un tasso fisso non superiore al tasso effettivo globale medio (Tegm) sui prestiti personali pubblicato trimestralmente dal ministero dell’Economia.

Numeri, come si diceva, che segnano un punto di partenza, non di arrivo, di una politica pubblica tutta da costruire. Sempre ammesso che non sia troppo tardi. L’anno scorso il saldo naturale registrato dall’Istat ha segnato il record storico (-183mila la differenza tra il numero d’iscritti per nascita e il numero di cancellati per decesso dai registri anagrafici dei residenti). Nel 2017 si stima siano venuti al mondo 464mila bambini, il 2% in meno rispetto al 2016, quando se ne contarono 473mila. È stato il nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia, il nono anno consecutivo di diminuzione dal 2008, anno in cui i nati furono 577mila. I demografi non hanno dubbi: dopo un primo decennio degli anni 2000 contraddistinto da un saldo naturale prossimo o poco inferiore allo zero, oggi s’è incanalato in una spirale di decrescita naturale che, alla luce dei bassi livelli di natalità espressi, non solo appare difficilmente invertibile, ma apre la strada alla concreta prospettiva di un ulteriore allargamento della forbice nascite-decessi negli anni a venire. Anche perché si riduce sempre di più anche il numero di mamme potenziali. Il contingente di donne in età feconda (15-50 anni) e il progressivo spostamento in avanti del calendario riproduttivo, spiegano gli analisti dell’Istat, sono tra i motivi per cui la natalità su scala nazionale è precipitata ai livelli sin qui osservati. Sono oggi circa 900mila in meno le donne residenti nella classe di età 15-50 anni rispetto al 2008 (1° gennaio), di cui 200mila in meno solo nell’ultimo anno. Nel frattempo, l’età media di queste donne è cresciuta da 33,8 anni nel 2008 a 35,2 anni nel 2018.

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