Previdenza

Famiglie e figli, quali politiche attive

di Carlo Carboni

La famiglia è forse la più antica istituzione sociale: l’economia nasce nella sua culla, nel bel mezzo dei rapporti di ”reciprocità” sviluppatisi lungo linee sessuali, di consanguineità e comunitarie. Ha poi navigato attraverso intere epoche, quali il feudalesimo e la sua economia redistributiva per poi gettarsi a capofitto nello scambio e ritrovarsi nella modernità come accessoria al mercato. Famiglia impresa, capitalismo familiare, famiglia-azienda, come micro-centro per l’impiego, che cerca di supplire le carenze del mercato e dello Stato nel risolvere il mismatch tra domanda e offerta di lavoro.

In Italia, gran parte del lavoro dei giovani è ancora scovato da famiglie e amici, in memoria della famiglia allargata tradizionale che fungeva da centro di allocazione del lavoro familiare sul mercato. Attorno alla relazione centrale tra famiglia e “posto” di lavoro, per decenni, ha ronzato, come l’ape sul miele, anche il voto di scambio, soprattutto nel Mezzogiorno, con il clientelismo delle famiglie e un assessore al lavoro che diventava anche datore di lavoro. C’è poi il potere delle grandi famiglie. Sennonché: il voto di scambio paga pegno per bilanci pubblici ristretti, il lavoro da trovare sembra sempre più rintracciabile nelle reti lunghe, l’educazione dei figli è in mano al sistema scolastico e al mondo dei media, mercato e tecnologie hanno rimpiazzato gran parte del lavoro domestico, la salute degli anziani si spartisce tra sistema sanitario e un esercito di badanti. Anche il passaggio generazionale familiare nelle grandi imprese è in difficoltà. Infine, grazie alle nuove tecnologie, molte funzioni di controllo e di servizio si sono riposizionate sull’individuo e la persona più che sulla famiglia.

Per questi e altri motivi, la più resiliente istituzione sociale è oggi in una traiettoria di decadenza, quanto a funzioni primarie. La famiglia è diventata un agente di socializzazione liquida, estremizzerebbe Bauman. È sufficiente pensare ai suoi tipi diffusi: matriarcale e patriarcale, monogamica e poligamica, genealogica e di fatto, nucleare e allargata, omogenitoriale e ricostruita, convivente e di fatto, monoreddito e povera, cattolica e islamica, ecc., nelle società multiculturali.

Dunque: famiglia in decadenza (ma parliamo di un processo secolare) e una sua multiformità che fa discutere e divide spesso l’opinione pubblica.

Ecco due motivi per i quali le famiglie in Italia (al di là delle antiche dispute catto-comuniste) non dispongono di un’adeguata attenzione strategica a livello legislativo. È divenuta materia complessa di governo, tanto intricata, a livello redistributivo e fiscale, che ci vorrebbe una legge-quadro che metta a sistema provvedimenti che la riguardano, che dia senso compiuto a misure di frequente dimezzate e frammentate, varate spesso in clima pre-elettorale. Come nel caso del reddito d’inclusione. È un ottimo provvedimento, tuttavia con stanziamento limitato, che a malapena raggiungerà la metà delle famiglie in deprivazione relativa. È un provvedimento che può costituire un potenziamento al reddito e attenuare la disuguaglianza più acuta che l’Italia ha accumulato in questi anni di crisi, tra il locomotore di testa e il vagone di coda (l’indice Gini di concentrazione del reddito ha superato anche quello britannico!).

Ci sono inoltre almeno altri due tipi insidiosi di disuguaglianze esplose negli ultimi due decenni in Italia. Innanzitutto, tra famiglie di ceto medio-alto e quelle del ceto medio-basso: l’ascesa selettiva delle prime, il vistoso declino delle seconde. Inoltre, tra giovani e più anziani: il peggioramento di lavoro e reddito dei primi, il profilo d’insider dei secondi. Sostenere le famiglie comporta tener conto di questi “crateri” della disuguaglianza e offrire loro politiche attive di contrasto. Bene l’opportunità offerta a un segmento di famiglie di dedurre le spese universitarie dei figli, ma forse sarebbe meglio per i giovani, se si potenziasse con decisione il diritto allo studio universitario, magari creando contestualmente percorsi tecnici “terziari” sulle orme del sistema tedesco. Le famiglie italiane hanno bisogno per i propri figli di politiche attive nell’inclusione allo studio e al lavoro, che resta la ferita scoperta del tessuto familiare odierno: avere in casa un neet o un figlio disoccupato. La via maestra è organizzare lavoro e impresa, a partire da quanto richiede lo stesso welfare familiare, soprattutto per le famiglie mono-genitoriali, quelle numerose, degli immigrati residenti, le più esposte alla povertà.

Nonostante la lenta decadenza e le forti differenziazioni, le famiglie italiane restano una trama sociale essenziale - fonte di identità, morale e diritto - per il Paese: soprattutto quando si guarda alla vita locale, che si snoda lungo gran parte del nostro quotidiano, orientato da una buona dose di mentalità familistica; o alla famiglia, dapprima, perimetrata nella domus televisiva, poi risucchiata nella domus elettronica multimediale. Non c’è ambito di competenza dello stato (educazione, sanità) o del mercato (assistenza, lavoro) in cui la famiglia, nell’Italia di oggi, non svolga un’attività di supplenza alle mancanze di questi due grandi, quanto imperfetti, regolatori sociali: in tal modo, conserva un posto di grande rilievo nella società italiana di oggi. Un ammortizzatore sociale dei cosiddetti fallimenti dello stato e del mercato, con una spiccata capacità di trasformarsi e adattarsi. Per questo ha senso mettere in ordine le numerose misure e agevolazioni fiscali esistenti che riguardino l’abitare, la natalità e la scuola, l’inclusione e le famiglie numerose, i figli universitari e lavoratori, la sanità e l’assistenza. Significa togliere il senso di provvisorietà che le misure in tema di famiglie spesso hanno e magari “rileggere” il nostro welfare con la lente di famiglie più “individualizzate”.

Mentre prosegue senza pietà lo stallo della politica e lo stato langue ad amministrazione ordinaria, sono arrivati dall’Istat segnali di miglioramento dei redditi delle famiglie, ma ancora insufficienti per viaggiare col vagone medio europeo. Un italiano su tre (al Sud peggio) rimane a rischio di povertà relativa e i nostri conti pubblici sono purtroppo la porta stretta in cui attualmente siamo. Quel che preoccupa è che formare il governo diventi un terzo grande problema–Paese, assieme allo stato di salute dei nostri conti pubblici e a quello, ancora vulnerabile di una buona fetta delle famiglie italiane.

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