Previdenza

I confronti internazionali in tema di spesa previdenziale: quella italiana è sostenibile?

di Antonio Carlo Scacco

La tematica dei confronti internazionali in tema di spesa (strettamente) previdenziale presenta rilevanti difficoltà.

L'assunto è che una spesa pensionistica o previdenziale, per essere definita tale, dovrebbe trovare fondamento o origine in un versamento contributivo (e non, semplicemente, age-related). Se partiamo da questo assunto è evidente la necessità di una puntuale riclassificazione giuridico-funzionale delle varie poste di spesa (genericamente definita previdenziale), processo che si complica ulteriormente in sede di comparazione internazionale, attesa la singolarità dei diversi sistemi giuridici. A tale difficoltà se ne aggiungono altre derivanti dall'utilizzo di diverse definizioni di spesa pensionistica/proxy utilizzate impropriamente da una pluralità di istituzioni. Per esempio (fonte RGS) l'Istat (ex Casellario centrale Inps) include nell'aggregato Istat Statistica le pensioni indennitarie (rendite infortunistiche, assegni da decorazione al valore militare, ecc.), assistenziali (pensioni di guerra, invalidi civili, pensioni e assegni sociali), di benemerenza (assegni ad ex combattenti) ecc.. Erogazioni che non trovano fondamento in alcuna contribuzione e quindi, a rigore, non classificabili come prestazioni previdenziali. Tali dati sono in gran parte quelli utilizzati da Esspros/Eurostat nella funzione old age (con esclusione delle indennità di accompagno, delle quote di prepensionamenti per disoccupazione ecc. ma incluso il Tfr ed il Tfs) e survivors (include le prestazioni Ivs e le rendite infortunistiche dirette ecc.).

L'inserimento del Tfr e del Tfs nell'aggregato, ad esempio, determina rilevanti problematiche ai fini comparativi (il Tfr ed il Tfs confluiscono anche nell'aggregato Cofog 10.2.0) dal momento che si tratta di istituti esclusivamente italiani (l'importo delle erogazioni nel 2015 è stato di 22,87 miliardi di euro, pari all'1,4% del pil).

Alle difformità classificatorie si aggiungono particolarità che possono alterare, anche sostanzialmente, il confronto. Ad esempio, in altri paesi i prepensionamenti da crisi aziendale sono considerati interventi di politica industriale e non inclusi nella spesa pensionistica, determinate spese (che noi classifichiamo previdenziali) vanno al sostegno alla famiglia o nella esclusione sociale. Per esempio, in Olanda e Danimarca le prestazioni di invalidità svolgono sostanzialmente la funzione di spesa pensionistica e rappresentano una importante fonte di reddito per gli anziani, in Germania i sussidi di disoccupazione sono relativamente comuni ecc.. A ciò si aggiunga che in altri paesi europei esistono strumenti contro la povertà (in Italia il ReI è operativo dal 1° gennaio 2018) che vanno nella funzione "esclusione sociale". In Italia, invece ,si utilizzano sostanzialmente allo stesso scopo strumenti impropriamente considerati pensionistici (ad esempio circa 9,3 bn € di integrazioni al minimo nel 2015). Si consideri, inoltre, che in Italia la percentuale di anziani rispetto al totale è la maggiore nei paesi Ue (il che ovviamente determina una maggiore spesa pensionistica), in altri paesi (ad esempio nel Regno Unito e in Olanda) i trattamenti pensionistici sono in buona parte erogati da privati, il trattamento fiscale è molto diverso rispetto al nostro ecc..

Quali indicazioni, dunque, sulla sostenibilità del nostro sistema pensionistico? Nell'ultima nota di aggiornamento al Def si legge che «l'architettura del nostro sistema pensionistico, come si è strutturata nel corso del tempo per effetto degli interventi di riforma, può contare su un avanzato meccanismo di correzione e adeguamento automatico dei parametri di calcolo e dei requisiti, che ne garantisce la tenuta complessiva». Un ottimo strumento per indagare sulla sostenibilità del sistema, anche per garantire il cosiddetto equilibrio intergenerazionale, è la nozione di "debito pensionistico implicito", ossia la misura del valore attuale del flusso di prestazioni pensionistiche future previste a legislazione vigente, al netto dei contributi che verranno versati (i paesi Ue entro il corrente anno dovrebbe pubblicare una tavola aggiuntiva di Contabilità Nazionale con misure del debito pensionistico implicito, attualmente sola Regno Unito e Lituania lo fanno). Ebbene, dalle stime del prestigioso istituto tedesco Stiftung Marktwirtschaft l'Italia vanta un debito implicito piuttosto contenuto rispetto ad altri paesi, anche grazie alla riforma Dini ed alla adozione del sistema contributivo a metà anni '90. La situazione, pertanto, non sembra essere così drammatica. Ciò non dovrebbe costituire motivo per abbassare la guardia o evitare di intervenire nei settori, purtroppo ancora molti e diffusi, dove l'ingiustizia previdenziale è ancora evidente.

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