Previdenza

Fondi pensione, alle Pmi solo lo 0,3%

di Marco lo Conte

Il nodo da sciogliere è tutto lì: aumentare la quota di investimenti in strumenti che investano nell’economia reale del paese, per dare sostegno allo sviluppo delle imprese e all’occupazione. Con benefici sia per le imprese, che per i lavoratori che per il Fisco. Mettere in campo questo circolo virtuoso non è semplice, visto che per perseguire gli obiettivi previdenziali di otto milioni di lavoratori italiani i fondi pensione puntano a diversificare sui mercati più efficienti gli investimenti. Questo è stato il tema centrale dell’assemblea di Assofondipensione, l’associazione dei fondi pensione di categoria, svoltasi ieri presso la Luiss. Obiettivo, il rilancio di una strategia di sostegno al tessuto economico italiano – a partire dalle leva fiscale – che negli ultimi anni ha vissuto molti stop and go: dall’ideazione poi abortita di un fondo dei fondi che investisse nelle Pmi, allo stanziamento di un credito di imposta, rimasto per metà inutilizzato.

Il presidente dell’associazione Giovanni Maggi ha illustrato dati inediti di quanto fatto sinora dai fondi negoziali: al di là delle posizioni in titolo quotati a Piazza Affari, nei bond pubblici e delle principali società quotate, sono 122,5 i milioni di euro investiti in veicoli impegnati in infrastrutture, energie rinnovabili, private equity e private debt; quest’ultimo settore raccoglie circa i tre quarti del totale. Cifre evidentemente esigue, che pesano solo per lo 0,3% del totale degli asset investiti (47,3 miliardi), e che salgono a 331,7 milioni di euro se si considerano gli impegni presi dai fondi pensione per gli investimenti futuri (commitment). Da sottolineare come, in ragione della diversificazione di portafoglio attuata nelle gestioni, solo il 54% di questi asset abbiano l’Italia come target di riferimento, con la restante parte destinata all’estero.

Non siamo all’anno zero ma è di tutta evidenza quanto il cammino sia ancora lungo e quanto sia importante dirottare una porzione dei contributi dei lavoratori italiani dai mercati internazionali al territorio nazionale senza, beninteso, obblighi di vincoli di portafoglio e di cadere negli errori dell’home bias. «I fondi negoziali - ha detto il presidente Giovanni Maggi - sono ormai investitori istituzionali maturi, capaci di essere doppiamente utili all’economia del Paese: da una parte come collettori del risparmio previdenziale, dall’altra come finanziatori dell’economia produttiva. Ciò in cambio di buoni rendimenti e adeguate condizioni di controllo del rischio per gli aderenti». Sì perché il tema dei bassi tassi del mercato obbligazionario – cui sono investiti quasi i due terzi del patrimonio dei fondi di categoria (vedi infografica a fianco) – è un assillo per le gestioni previdenziali che hanno lo scopo di far lievitare i contributi e assicurare agli aderenti una pensione aggiuntiva utile a ridurre il più possibile il gap previdenziale tra ultimo stipendio e primo assegno pensionistico obbligatorio.

L’obiettivo è mettere a disposizione della platea di potenziali aderenti ai fondi pensione l’opportunità di investire nel proprio territorio economico e incentivare così le adesioni, analogamente a quanto accaduto tra i sottoscrittori retail dei piani individuali di risparmio (Pir). L’assemblea di Assofondipensione è stata anche l’occasione per fare il punto sul sistema della previdenza complementare, con le adesioni cresciute del 12,7% negli ultimi tre anni (dall’ultima assise) e i rendimenti del 29,1% contro l’8,9% del Tfr. Nel corso dell’incontro sono stati diffusi anche i dati sulle strategie di investimento sostenibile e responsabile, adottate dal 43,8% dei fondi negoziali.
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