Previdenza

Professionisti, l’impatto sulle Casse e l’autonomia tradita

di Salvatore Padula

L'obiettivo di bilanciare in modo ragionevole i diritti dei pensionati con le esigenze della finanza pubblica - ma anche di quella per così dire “privata”, visto che la previdenza obbligatoria di alcuni milioni di cittadini-professionisti è affidata a enti previdenziali autonomi - è un'aspirazione non facile da realizzare.

Un’aspirazione nella quale la necessaria ricerca di nuovi equilibri rischia inevitabilmente di favorire alcuni attori e danneggiarne altri, primi fra tutti i soggetti più giovani.

Queste difficoltà tornano a mostrarsi evidenti nei giorni in cui i temi previdenziali si ripresentano all’attenzione di tutti con il confronto che si è aperto in occasione dell’avvio della sessione di bilancio, che quest’anno sconta anche l’intreccio con il previsto aumento dei requisiti pensionistici, dal 2019, come effetto dell’aumento della speranza di vita.

A ben vedere, però, ci sono altri due ambiti che meritano attenzione. Perché, da un lato, dopo le istruzioni fornite dall’Inps, la possibilità di cumulare gratuitamente i contributivi versati in più gestioni previdenziali dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) diventare applicabile anche per i professionisti; e dall’altro, apre nuovi scenari la decisione della Corte costituzionale del 25 ottobre di respingere le censure di illegittimità sulla rivalutazione delle pensioni post 2015. Due istituti – cumulo e rivalutazione – ovviamente diversi tra loro ma che offrono spunti comuni di riflessione su come intervenire e non intervenire nel pianeta previdenza.

Partiamo dal cumulo. È evidente che anche il mondo delle professioni debba interrogarsi sugli strumenti necessari per risolvere il problema della discontinuità-frammentazione delle carriere. Una risposta è arrivata dall’alto con la legge di bilancio di quest’anno. Ora, al di là degli aspetti tecnici, è impossibile non cogliere la contraddizione di un legislatore che ha concesso un elevato grado di autonomia agli enti previdenziali dei professionisti ma che poi non perde occasione per stravolgere e mettere in discussione questa autonomia. Non è solo il fatto che, per l’ennesima volta, un intervento a gamba tesa dello Stato rischia di minare la stabilità degli enti. Perché qui, più in generale, finisce per traballare la stessa filosofia che regge il sistema degli enti privatizzati. Una filosofia che non può essere stiracchiata alla bisogna da una parte all’altra. Insomma, se questi enti sono autonomi e allo Stato, attraverso gli organi vigilanti, devono competere solo le funzioni di controlli necessarie a tutelare gli iscritti, allora che questi Enti siano autonomi davvero e non a giorni alterni.

Sappiamo che l’impatto del cumulo sulle Casse non sarà uniforme (addirittura sarebbe nullo per le “nuove” Casse professionali, quelle del Dlgs 103/96 – dagli biologi ai periti industriali, dagli infermieri agli psicologi, solo per citare alcune categorie – che adottano sin dalla nascita il sistema contributivo puro).

Per qualcuno, però, gli effetti ci saranno e rischiano di farsi sentire sull’equilibrio dei conti, o anche solo sul patrimonio. Nonostante qualche annuncio avventato, poi smentito dai fatti, nessuna risorsa finanziaria sarà “girata” dallo Stato agli enti dei professionisti. Quindi: lo Stato impone il cumulo gratuito, ma quando c’è da metterci i soldi, li assegna solo all’Inps, mentre le Casse dovranno pensarci in splendida...autonomia. Il che nelle questioni previdenziali si fa sostanzialmente in tre, anzi, quattro modi: si aumentano i contributi; si aumentano i requisiti; si tagliano le pensioni future; si chiedono sacrifici anche a chi è già in pensione, comprimendo l’area dei “diritti acquisiti”.

Non è detto che le Casse, o tutte le Casse, debbano realmente fare qualcosa, ma nel caso sarà bene non scordare da dove arriva questa esigenza. Come sarà bene tenere a mente la vicenda della perequazione, perché qui si realizza quell’intreccio “ideale” con la vicenda del cumulo gratuito.

Ancora non conosciamo le motivazioni con cui la Corte costituzionale ha ritenuto non illegittimo il meccanismo di rivalutazione parziale degli assegni, applicato dal 2015 dopo che la Corte stessa aveva invece dichiarato l’incostituzionalità del blocco della perequazione Monti-Fornero prevista dal decreto “salva Italia”. È però possibile che quando nel comunicato stampa si legge che «la nuova e temporanea disciplina prevista dal decreto-legge n. 65 del 2015 realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze della finanza pubblica», la Corte stia affermando – anzi riaffermando, visto che lo ha detto anche in alte occasioni – che esistono situazioni in cui non sia illegittimo chiedere la parziale e/o temporanea rinuncia a un diritto acquisito. Tema, ovviamente, da maneggiare con cura e grande senso di responsabilità. Ma che, in qualche modo, offre una lettura delle vicende previdenziali in una chiave di maggior realismo. Non è pensabile che i rimedi agli squilibri finanziari dei sistemi previdenziali siano posti sempre e solo a carico delle generazioni future ed è plausibile che qualche “equilibrato” sacrificio possa essere chiesto anche a chi ha già superato il traguardo della pensione. Non foss’altro perché se un sistema previdenziale muore, sono inevitabilmente destinati a svanire anche i vecchi diritti.

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