Previdenza

La Consulta salva la mini-indicizzazione

di Davide Colombo e Matteo Prioschi

Vedi il grafico: L'adeguamento delle pensioni

Non è incostituzionale la mini rivalutazione delle pensioni corrisposta nel periodo 2012-2015 in risposta alla bocciatura da parte della Corte costituzionale del blocco attuato nel 2012-2013 per gli assegni di importo superiore a tre volte il minimo. Così ha deciso la Consulta, al termine della camera di consiglio che si è svolta ieri dopo l’udienza pubblica di martedì.

«La Corte – si legge in un comunicato stampa – ha ritenuto che, diversamente dalle disposizioni contenute nel decreto legge “salva Italia” (quello del blocco, ndr) e annullate nel 2015... la nuova e temporanea disciplina prevista dal decreto legge 65/2015 realizzi un bilanciamento non irragionevole tra i diritti dei pensionati e le esigenze di finanza pubblica».

Si dovrà ora attendere il deposito della sentenza per conoscere nel dettaglio le motivazioni alla base della decisione che ritiene conforme al dettato costituzionale il provvedimento con cui è stata decisa una restituzione minima di quanto non erogato nel 2012 e nel 2013. Per far fronte alle necessità di bilancio, a fine 2011 il governo decise di non adeguare all’inflazione gli assegni previdenziali di importo superiore a tre volte il minimo (cioè 1.405 euro di allora). Tale decisione è stata bocciata dalla Corte costituzionale con la sentenza 70/2015 a cui ha fatto seguito il decreto legge 65/2015, tramite il quale è stato disposto il riconoscimento molto parziale della rivalutazione non effettuata e anche degli effetti della stessa sugli anni seguenti. A livello complessivo sono stati pagati 2,8 miliardi di euro rispetto ai 24,1 miliardi al lordo degli effetti fiscali risparmiati con il blocco.

Peraltro la possibilità di limitare l’adeguamento annuale delle pensioni all’inflazione aveva già superato di recente il vaglio della Corte costituzionale (sentenza 173/2016) che si era espressa sul meccanismo di perequazione entrato in vigore nel 2014 e più penalizzante rispetto a quello utilizzato in precedenza e che dovrebbe tornare dal 2019 (si veda altro articolo in pagina).

«È una sentenza che ci lascia l’amaro in bocca e le cui motivazioni andranno lette con attenzione per capire se ci sono gli auspicati richiami all’Esecutivo affinché si ponga finalmente fine alla sconcia pratica di usare i pensionati come dei bancomat» è il commento di Giorgio Ambrogioni, Presidente di Cida, la Confederazione dei dirigenti ed alte professionalità pubbliche e private, che ha assistito i propri associati nei ricorsi conto il cosiddetto decreto Poletti. Mentre per Walter Anedda, presidente della Cassa di Previdenza dei dottori commercialisti «la Corte, riconoscendo che il diritto acquisito ha un limite nel diritto sostenibile, ha compiuto un importante passo in avanti riconoscendo e dunque evitando la possibile penalizzazione che avrebbero potuto subire le giovani generazioni a seguito della precedente bocciatura della norma sul medesimo tema introdotta per motivi equitativi». Per Ivan Pedretti, segretario dello Spi-Cgil, «resta irrisolto il problema del reddito dei pensionati, che in questi ultimi anni ha perso sensibilmente di valore e non è stato degnamente rivalutato. A questo punto c’è assolutamente bisogno di un nuovo meccanismo di rivalutazione che sostenga il potere d’acquisto dei pensionati. C’è l’impegno del governo a metterlo in vigore dal 1 gennaio 2019 e noi vigileremo affinché ciò avvenga».

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