Previdenza

«È arrivato il momento di passare al welfare attivo»

di Maria Carla De Cesari

«Il risparmio previdenziale è frutto del lavoro dei professionisti e non può essere esposto a rischi. Corretto proteggere la previdenza complementare, sbagliato dimenticarsi di quella obbligatoria». Alberto Oliveti, presidente dell’Adepp, l’associazione che riunisce le Casse private dei professionisti, e dell’Enpam, l’ente dei medici, sollecita il Parlamento a escludere da eventuali bail in gli enti di previdenza obbligatoria, così come è avvenuto, con un emendamento al Dl 50/2017, per i fondi di previdenza complementare.

«Il diritto costituzionale alla pensione non può essere lasciato in balia dei salvataggi bancari. Siamo fiduciosi - continua Oliveti - che la politica si mobiliti per garantire i professionisti». L’appello di Oliveti, peraltro, è stato già condiviso dal sottosegretario al ministero dell’Economia, Pierpaolo Baretta, che si è impegnato per correggere la manovra ed escludere anche le Casse private dall’ipotesi di bail in, cioè di coinvolgimento finanziario, con compromissione delle somme depositate, nel caso di crisi bancaria.

Presidente Oliveti, con il bail in si apre un fronte che si spera si chiuda presto. Con il Ddl sul lavoro autonomo avete appena incassato una delega al Governo per ridisegnare gli interventi di welfare erogati dalle Casse.

La delega è importante perché riguarda la possibilità di mettere in campo interventi a sostegno dei colleghi in difficoltà. Il settore, negli ultimi dieci anni, ha subito un sensibile calo dei redditi.

Il peggio non è passato? Le statistiche sui redditi 2015 non lasciano spazio a un po’ di ottimismo?

Possiamo dire che si è fermata la flessione. In dieci anni abbiamo perso circa il 20 per cento del reddito. Certo, dottori commercialisti e notai hanno registrato un piccolo miglioramento, ma per le altre categorie la situazione è stazionaria. Cassa forense, per esempio, deve far fronte a moltissimi ingressi con reddito minimo.

Che cosa immaginate di fare una volta esercitata la delega?

Le Casse hanno approntato molti interventi per rispondere alle situazioni di bisogno. Ora dobbiamo definire azioni di sviluppo, capaci di migliorare l’esercizio della professione per conseguire maggior reddito.

Insomma, volete accompagnare agli interventi assistenziali - collegati anche a infortuni, malattia, rischio di non autosufficienza - azioni per incidere sulla capacità di fare reddito?

È così, dobbiamo ‎passare al welfare attivo: prestiti d’onore, facilitazioni per la formazione, incentivi per l’informatizzazione, per accedere a strumenti che ci permettano di competere. Tutto questo, naturalmente, avrà anche ripercussioni positive sul sistema Paese.

Come pensate di procedere?

Abbiamo chiesto di aprire un tavolo con il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti. Vorremmo anche che, per i vincoli dei bilanci attuariali, si tornasse allo spirito del decreto di privatizzazione, che si guardasse nei 30 anni non al saldo negativo tra entrate e uscite ma si considerassero i saldi patrimoniali. Altrimenti i patrimoni sono congelati.

Non pensa che la prudenza del legislatore sia alimentata anche da episodi spiacevoli, come quelli che qualche anno fa hanno coinvolto Cassa ragionieri o Cassa psicologi?

Non posso negare qualche ‎episodio di malagestio, ma il sistema è sano: raccogliamo ogni anno 9 miliardi di euro di contributi, eroghiamo 5,9 miliardi di prestazioni pensionistiche e 500 milioni di welfare. Abbiamo un patrimonio di 75 miliardi. Questi sono i numeri che parlano di noi.

In Parlamento è in discussione un testo unico sulle Casse. Lo condividete?

C’è un principio positivo, cioè il riconoscimento dell’autonomia. Ci sono, però, aspetti che suscitano perplessità, come la pretesa di entrare nella composizione degli organi collegiali delle Casse, l’obbligo di adottare il calcolo contributivo o il premio fiscale per le Casse che si fondono.

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