Previdenza

Pensioni flessibili aspettando l’Ape

di Davide Colombo

C’è l’anticipo pensionistico senza penalizzazioni per chi si ritira con 42 anni e 10 mesi se uomo e 41 e 10 mesi se donna. E c’è la possibilità di cumulare gratuitamente contributi versati in gestioni diverse per arrivare prima all’anticipo o alla vecchiaia. Non solo. Per i lavoratori con 35 anni di contributi e impegnati in attività “usuranti” c’è la possibilità di andare in pensione un anno prima a patto che l’attività classificata come pesante si sia svolta per almeno la metà della vita lavorativa compresi 7 anni degli ultimi 10, senza però il vecchio vincolo di impiego in attività usurante nell’anno di raggiungimento del requisito ridotto. Requisito che è stato anche “sganciato” dagli adeguamenti automatici all’aspettativa di vita.

Attendere il via operativo dell’Ape (sociale o volontaria) e del decreto-tandem che consente a determinate condizioni di difficoltà l’anticipo con 41 anni di anzianità contributiva ai lavoratori precoci (quelli che hanno lavorato almento 12 mesi prima di compiere 19 anni) non significa certo aspettare una flessibilità che ancora non c’è. I tre canali allargati dalle norme della legge di Bilancio 2017 sono già operativi da gennaio. Ma anche prima dell’ultimo “pacchetto previdenziale” una discreta flessibilità ha sempre garantito uscite anticipate rispetto ai cosiddetti “requisiti Fornero”. Basta guardare gli ultimi dati Inps sui nuovi flussi di pensionamento per farsene una ragione: nel primo trimestre sono entrate in decorrenza 31.506 pensioni anticipate (il 23% di tutte le nuove pensioni di inizio anno) e i beneficiari hanno incassato il primo assegno con un’età media di 60 anni e 8 mesi, mentre quelle di vecchiaia sono state 34.564 (età media 66 anni). Nel 2016 le pensioni anticipate sono state 118.084 (età media alla decorrenza 60 anni e 4 mesi), il 25,4% del totale delle prestazioni attivate, mentre le pensioni di vecchiaia sono state 120.032 (età media 64,7 anni; 25,5%).

In quei flussi di uscite anticipate ci sono tante situazioni diverse, compresi per esempio i numerosissimi esodati che hanno incassato una salvaguardia: secondo il monitoraggio Inps dell’agosto scorso sono già 106.616 le pensioni liquidate con le prime sette salvaguardie, mentre due settimane fa s’è saputo che per l’ottava e ultima salvaguardia (30.700 posti in palio) sono già state accolte 7.674 domande e altre 16mila sono al vaglio.

L’Ape sociale, il cui decreto attuativo dovrebbe arrivare in Gazzetta Ufficiale dopo la registrazione in Corte dei conti, serve tra l’altro a chiudere con una risposta equitativa la troppo lunga stagione delle salvaguardie. «Il requisito principale che abbiamo voluto mantenere è quello dell’età a 63 anni - spiega Marco Leonardi, capo del nucleo di politica economica della Presidenza del Consiglio -, un requisito uguale per tutti e che impedirà discriminazioni sulle platee di accesso a questa misura che parte come sperimentale».

Il Governo ha inviato all’ultimo vaglio della magistratura contabile un testo che ha accolto i suggerimenti di modifica del Consiglio di Stato sulla tempistica di presentazione delle domande per l’Ape sociale, visto che viaggia con più di due mesi di ritardo: chi matura i requisiti entro fine anno dovrà fare domanda entro il 15 luglio, chi li matura nel 2018 entro il 31 marzo. «Abbiamo anche mantenuto il divieto di cumulare l’Ape sociale con redditi da lavoro dipendente superiori agli 8mila euro o da lavoro autonomo oltre la soglia dei 4.800 euro annui - spiega ancora Leonardi -, perché questo è uno strumento di tipo assistenziale per chi si trova in situazioni di necessità e non può essere concepito come una specie di indennità integrativa del reddito a carico dello Stato».

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