Previdenza

Dopo il rodaggio è necessario «blindare» il nuovo sistema

di Davide Colombo

Pensioni flessibili e ammortizzatori sociali, dopo la sperimentazione biennale dell’Ape, dovrebbero funzionare con un moto sincrono e aggiustamenti calibrati solo sugli incrementi della speranza di vita, il cui prossimo adeguamento di 5 mesi scatterà nel 2019, ma verrà deciso a fine 2017 con un decreto Economia-Lavoro. Dovranno essere capaci, le prime, di assicurare uscite anticipate rispetto ai requisiti di vecchiaia standard e, i secondi, di attivarsi solo nei casi di necessità certificata. Ma il sistema, una volta fatto il necessario rodaggio, dev’essere poi blindato. Basta deroghe o salvaguardie per presunti e ulteriori esodati del futuro che verrà. Anche perché le esperienze degli ultimi anni (tre leggi di salvaguardia varate dal governo Monti, due dal governo Letta e altre tre dal governo Renzi) hanno fornito prove molto eloquenti su come la spesa sociale può essere male utilizzata.

In un bel libro appena pubblicato da Università Bocconi Editore (“L’inganno generazionale” di Alessandra del Boca e Antonietta Mundo) si fa l’esempio di tre gemelle del 1952 che iniziano a lavorare a 40 anni, due nel privato e la terza nella Pa, ma vanno in pensione con età assai diverse. La prima a 61 anni e 3 mesi perché, dopo soli 10 anni di impiego, da contributrice volontaria è riuscita a infilarsi in una salvaguardia. La seconda a 64 anni e 7 mesi dopo 20 di anzianità contributiva. La terza, sempre dopo 20 anni di contributi, a 66 anni e 7 mesi, visto che nel pubblico l’età di vecchiaia è più elevato. Tra la prima e l’ultima ci sono 5 anni e 4 mesi di differenza. Ecco che cosa si spera di non vedere più in futuro: disparità di trattamento talmente clamorose da non meritare neppure un commento.

L’Ape sociale, con il suo requisito base di 63 anni per l’accesso, e le nuove flessibilità introdotte a regime dovranno provare che è possibile garantire un complesso sistema di uscite dal mercato del lavoro senza regalare niente a nessuno. Non sarà facile in un Paese dove si governa quasi solo sull’emergenza, ma è la vera sfida da cogliere.

Sappiamo già oggi che sarà la prossima legislatura a decidere se rendere strutturali o meno il sistema dell’Ape (sociale, volontaria e aziendale) e della rendita integrativa temporanea anticipata (Rita). Sarebbe un peccato se, nel frattempo, con il passaggio elettorale si allentasse l’attenzione sull'applicazione delle nuove misure. Mai come in questo caso la continuità amministrativa dovrà dare prova di sé, con l’auspicio che la politica non decida di interrompere il film prima dei titoli di coda.

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