Previdenza

Niente pensione di reversibilità al convivente more uxorio

di Silvano Imbriaci

La vicenda affrontata dalla sentenza 22318/2016 del 3 novembre riguarda l'accesso al trattamento di reversibilità di una pensione di inabilità della quale risultava titolare, prima del decesso, la convivente more uxorio del ricorrente.

Dal punto di vista normativo si tratta di verificare se nell'attuale ordinamento pensionistico sia ricavabile un principio a favore dell'estensione anche a tale ipotesi del diritto alla pensione di reversibilità, a fronte di un quadro normativo che non la prevede espressamente a favore del convivente, e se l'impossibilità di ricavarlo esponga le norme individuate a un possibile scrutinio sotto il profilo della loro legittimità costituzionale.

Secondo la prospettazione del ricorrente, infatti, è questo un classico caso in cui il giudice può estendere l'applicazione di una forma di tutela a situazioni meritevoli di bisogno, in conformità con le direzioni intraprese dallo sviluppo sociale e dall'evoluzione dei principi, nell'ottica di un progressivo loro adeguamento a vicende e situazioni che, al momento della nascita della normativa applicata, non erano neanche ipotizzabili. Il tutto in un quadro di più ampio respiro, a carattere anche sovranazionale, caratterizzato dal sostanziale riconoscimento della equiparazione tra famiglia istituzionale e famiglia di fatto (in una prospettiva di tutela dei diritti dell'uomo), già presente in numerose fattispecie normative nel nostro ordinamento.

Basti pensare alla disciplina in materia di separazione e affidamento condiviso (legge 54/2006), alla previsione di congedi lavorativi per cause particolari che riguardano il convivente di fatto (articolo 4 della legge 53/2000), i permessi per i detenuti nel caso di situazioni che riguardano il convivente (articolo 30 della legge 354/1975), la ricusazione dell'arbitro per essere il convivente di una delle parti (articolo 815 del codice di procedura civile).

Il fatto è che l'attuale sistema previdenziale non prevede una pensione di reversibilità in favore del convivente more uxorio, anche se la convivenza nel nostro ordinamento è riconosciuta, come si è accennato, in diverse situazioni in modo espresso. Vi è, in altre parole, secondo la ricostruzione fornita dalla sentenza di merito e alla quale la Cassazione sembra volersi adeguare, ancora una linea di demarcazione piuttosto netta tra convivente more uxorio e coniuge (oppure ex coniuge) titolare di pensione di reversibilità, e questo considerando il fatto innegabile per cui il trattamento economico di reversibilità non può essere ricompreso o annoverato tra i diritti fondamentali della persona, che il divieto di discriminazione tra la famiglia di fatto e quella riconosciuta legalmente intende, in ultima analisi, proteggere.

E' vero che la Corte di giustizia europea, con ordinanza della settima sezione del 17 marzo 2009, nel procedimento C-217/08, in materia di «parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro – Artt. 12 CE e 13 CE – Concessione di una prestazione ai superstiti – Normativa nazionale che prevede differenze di trattamento tra il coniuge superstite e il convivente superstite», ha ribadito l'esistenza di un generale potere spettante al consiglio dell'Unione europea di prendere provvedimenti per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali (articolo 13 Ce), tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte, l'articolo 13 Ce non è di per sé idoneo a collocare nell'ambito di applicazione del diritto comunitario, allo scopo di vietare qualsiasi discriminazione fondata sull'età, situazioni che non rientrano nell'ambito delle misure adottate sulla base di tale articolo.

Per quanto poi riguarda il diritto interno (e nella specie l'articolo 13 del regio decreto legge 636/1939 e l'articolo 9, II e III comma della legge 898/1970), la Corte costituzionale (sentenza 461/2000) ha già avuto modo di affermare che anche nelle ipotesi in cui la convivenza abbia acquistato i caratteri di stabilità e certezza propri del vincolo coniugale, tale circostanza non è di per sé idonea a superare il dato letterale della mancata inclusione del convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico in questione. Infatti la pensione di reversibilità costituisce la diretta derivazione di un precedente rapporto giuridico che nel caso della convivenza more uxorio manca, con ciò rendendo le due situazioni diverse e non equiparabili, sotto questo specifico profilo.

Il riconoscimento, sotto vari aspetti, della rilevanza delle situazioni di fatto (si pensi ad esempio anche alle forme di tutela nel rapporto di lavoro), sia pure in presenza di indici di stabilità apprezzabili, non implica dunque di per sé l'automatico riconoscimento al convivente del trattamento pensionistico di reversibilità, che, come si è detto, non è considerato all'interno dei diritti inviolabili dell'uomo cui fa riferimento anche l'articolo 2 della Costituzione.

Su tutto non ha rilievo neppure l'entrata in vigore della legge 76/2016 (in materia di unioni civili), posto che neanche tale normativa (peraltro inapplicabile ratione temporis al caso specifico) prevede in modo espresso in favore del convivente more uxorio la pensione di reversibilità; e ciò appare assai significativo, a fronte della previsione di un'ampia gamma di trattamenti comunque riconosciuti allo stesso convivente (si veda l’articolo 1, comma 20).

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