Rapporti di lavoro

Anticipo Tfr, per le piccole aziende il rischio di costi «extra»

di Alessandro Rota Porta


Finalmente al via la possibilità di ottenere il pagamento del Tfr in busta paga (Quir): la legge di stabilità 2015 aveva previsto che da questo mese i lavoratori potessero richiedere al proprio datore di lavoro di aver liquidate le quote maturande del trattamento di fine rapporto, fino a giugno 2018; in realtà, il ritardo nell’emanazione del Dpcm attuativo (20 febbraio 2015, n. 29 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 19 marzo scorso) farà partire l'operazione con le buste paga di aprile (il regolamento entrerà in vigore il 3 aprile), con un mese di ritardo sulla tabella di marcia fissata dalla norma istitutiva della misura.

Il comma 33, dell'articolo 1, della legge 190/2014 prevedeva, appunto, che le modalità di attuazione del meccanismo della corresponsione mensile fossero determinate – attraverso appositi Dpcm – entro il 30 gennaio 2015.

Ora che il quadro è quasi del tutto definito (mancano ancora le specifiche Inps e le convenzioni bancarie per quei datori di lavoro che si vorranno avvalere del sistema di finanziamento), è possibile analizzare i risvolti gestionali, sia dal lato del datore di lavoro che dal punto di vista dei lavoratori.

Per quando riguarda i primi, va subito detto che non potranno esimersi dal pagamento, in caso di richiesta da parte del lavoratore interessato, effettuata attraverso il modello allegato al Dpcm attuativo del 20 febbraio 2015: il pagamento decorrerà dal mese successivo a quello di presentazione dell'istanza, che potrà essere esercitata anche successivamente ad aprile 2015, pur sempre nel periodo di vigenza della disposizione.

Lo scenario cambia soltanto con riferimento alle dimensioni dell'azienda: se l'organico è superiore a 50 addetti, dal momento che le quote di Tfr vengono già accantonate ogni mese presso il fondo di Tesoreria Inps, il peso finanziario dell'operazione è invariato.
Diverso è il discorso per i datori con organico inferiore a 50 lavoratori: per questi, se il dipendente in questione non devolve già il Tfr a un fondo complementare, la richiesta di incassarlo mensilmente in busta paga rappresenterà un “costo” aggiuntivo.

Per venire incontro a queste criticità, la norma prevede che i datori possano accedere ad una piattaforma di finanziamento ad hoc, assistita da un fondo di garanzia istituito presso l'Inps. In queste ipotesi, i lavoratori riceveranno la Quir dal terzo mese successivo alla presentazione della domanda.

I datori in questione dovranno prima di tutto richiedere all'Inps un'apposita certificazione attestante l'ammontare delle quote di Tfr, sulla base dei montanti retributivi dichiarati per ciascun lavoratore interessato, per poi presentare le domande di accesso al credito, presso gli istituti bancari che aderiranno a una specifica convenzione.L’accordo quadro-convenzione è alla firma del ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti e del presidente Abi, Antonio Patuelli.

I passaggi per la completa realizzazione del sistema non saranno dunque immediati e l'operatività sarà tutta da testare.
Sono, invece, esclusi dall'obbligo dell'anticipo quelle realtà aziendali interessate da situazioni di crisi quali le procedure concorsuali, l'accordo di ristrutturazione del debito o il ricorso a programmi di Cassa integrazione straordinaria/in deroga.

Peraltro, gli oneri amministrativi a cui saranno chiamati i datori non sono di poco conto: si pensi, ad esempio, all'implementazione dei dati riferiti alle denunce mensili Uniemens (dove dovrà trovare evidenza la Quir) ovvero alle situazioni di Cassa integrazione indicate sopra. In queste fattispecie il versamento verrà sospeso dal periodo di paga successivo all'inizio del programma per poi essere riattivato al termine dello stesso.

Sul versante dei lavoratori, se è vero che la misura ha l'obiettivo di concedere agli stessi la possibilità di avere un maggiore reddito disponibile (per un periodo transitorio), la scelta di aver liquidate mensilmente le quote di Tfr porta con sé alcuni “effetti collaterali”.
Non si può tralasciare come la relazione tecnica che accompagna la legge di stabilità 2015 stimi maggiori entrate per lo Stato pari a 2,2 miliardi di euro per il 2015 e a 2,7 miliardi per il 2017. Da dove deriva questo gettito? Intanto, dal fatto che il Tfr in busta verrà tassato secondo l'Irpef ordinaria e non con l'aliquota più vantaggiosa della “normale” tassazione separata (prevista su questo istituto) ma anche da altri effetti indiretti: infatti, poiché queste somme entreranno nel reddito, causeranno la fruizione di minori detrazioni fiscali e un conseguente aumento della tassazione complessiva.

Sarà ulteriormente penalizzato anche quel lavoratore che gode di prestazioni legate all'Isee così come i percettori degli assegni per il nucleo famigliare, correlati proprio al reddito.
In ogni caso, la scelta sarà irrevocabile fino al 30 giugno 2018 e comporterà anche il congelamento dei versamenti delle quote del Tfr ai fondi complementari (per chi vi aveva aderito) per il medesimo periodo.

L'unico requisito per l'accesso è quello di avere un rapporto di lavoro in essere da almeno sei mesi presso il medesimo datore di lavoro.

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Due strade per chiedere l'anticipo

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