Previdenza

La parola agli esperti/2. Gianni Geroldi: «Serve un fondo per una più equa redistribuzione»

di Elio Silva

«Il sistema contributivo non nasce per caso, ma è figlio di una precisa volontà di armonizzazione, finalizzata a dare ai contributi versati un valore uguale per tutti». Così Gianni Geroldi, professore di economia dei sistemi previdenziali all'università Cattolica di Piacenza, tra i massimi esperti italiani in materia pensionistica, difende le virtù del metodo contributivo, così duramente messe alla prova dalla prolungata crisi del Paese.
«La ratio del contributivo - spiega - risiede in una formula per la quale sappiamo che, con un'aliquota del 33%, abbiamo un'incidenza sul Pil compresa tra il 13 e il 14%, che è sostenibile e che in prospettiva ci mantiene nella media europea. Resta purtroppo il fatto che, se un lavoratore ha salari bassi e un percorso contributivo discontinuo, come quello dei precari, oppure se è costretto a un progressivo impoverimento pur avendo un'attività fissa, il trattamento non potrà che essere avaro, proprio perchè il principio di corrispettività si riflette sulle erogazioni».
«Occorre anche tenere presente - aggiunge - che il tasso di sostituzione, ossia il rapporto fra retribuzione e prestazione previdenziale, è sì un indicatore di adeguatezza delle pensioni, ma relativo, non assoluto: può anche restare elevato senza che questo significhi necessariamente avere trattamenti soddisfacenti. La vera rischiosità, quindi, non è nel sistema pensionistico, ma nel mercato del lavoro che, se non cresce, si riflette in modo negativo sulla previdenza».
Quali i rimedi? «In primo luogo, appunto, far ripartire l'occupazione», sostiene Geroldi. «In seconda battuta si può pensare a meccanismi di redistribuzione del reddito, ad esempio attraverso un potenziamento dell'assegno sociale che sostituisce le pensioni minime. Un terzo tipo di intervento, infine, può essere di natura redistributiva entro il perimetro dello stesso sistema pensionistico».
«Un obiettivo - prosegue - che si può perseguire con diverse modalità. Un'ipotesi, della quale si era anche parlato alcuni anni fa, potrebbe essere quella di spaccare in due la contribuzione, mantenendo invariata l'incidenza totale intorno al 33 per cento: una quota prevalente alimenterebbe il conto individuale, mentre una seconda aliquota entrerebbe in un fondo destinato ad essere redistribuito in maniera paritetica su tutti gli assicurati, creando così una base comune, riferita alla retribuzione media. Una soluzione che, tra l'altro, non avrebbe bisogno di muovere la leva fiscale».
Nella sofferenza generale dei sistemi previdenziali, poi, si inserisce il problema più specifico delle Casse privatizzate, che hanno una platea di iscritti limitata e redditi medi in calo ormai da anni. «Ci sono figure professionali particolarmente deboli - commenta Geroldi - che avrebbero assolutamente bisogno di una rapida inversione del mercato in direzione della crescita. Diversamente, anche con un buon tasso di sostituzione non si potranno garantire prestazioni soddisfacenti».

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