Contrattazione

La risorsa del salario minimo

di Franco Toffoletto

È vero che l’innovazione tecnologica ha cambiato il lavoro e che è necessario intervenire con nuove definizioni legislative protettive? Secondo me no.

L’innovazione tecnologica ha semplificato alcuni processi, consentendo di creare nuove opportunità di lavoro che prima non potevano esistere. Si potrà discutere sul se i lavori e i mestieri che la tecnologia sopprime saranno quantitativamente superiori o inferiori a quelli che crea: ma è un tema più complesso che esula da questo dibattito. Osservo solo che negli ultimi cento anni questo fenomeno si è verificato più volte e di fatto il mondo è cresciuto in termini di produttività e di miglioramento del tenore di vita. Se la produttività della manodopera cresce dell’1%, come è avvenuto per tutto il XIX secolo, ci vogliono 70 anni per raddoppiare il tenore di vita. Se crescesse del 4%, come è successo nel 2010, in 70 anni lo standard di vita crescerebbe di 16 volte! Nel decennio 2000-2010 la crescita media è stata il 2,5%, molto maggiore di quella verificatasi negli anni ’70 e ’80. E tutti gli economisti sono d’accordo nel ritenere che ciò sia dovuto alla tecnologia informatica (Brynjolfsson & McAfee, 2014). Robert Solow ha ricevuto nel 1987 il premio Nobel per aver dimostrato che la crescita economica non proviene da un aumento della quantità di lavoro svolto dalle persone, ma piuttosto da un aumento della sua qualità. Ciò significa utilizzo di nuove tecnologie e delle tecniche di produzione che crei più valore senza aumentare la manodopera, il capitale e le altre risorse in gioco.

La questione vera che si pone questa volta, è che il cambiamento è molto più veloce, come non è mai stato, e richiede conoscenza e competenze diverse dal passato. E ciò crea indubbiamente un grosso problema per l’istruzione. Come sarà il mondo quando un bambino, che oggi fa la prima elementare, farà la maturità? Invece nel 1995 (con l’avvento di internet) si immaginava come potesse essere il mondo nel 2015. Adattare la scuola a questa velocità è un compito arduo, ma molto importante: dovrebbe essere la priorità assoluta per ogni Paese. E da noi mi pare la questione sia molto sottovalutata. La tecnologia non è indifferente alla competenza (Card e Di Nardo, 2002; Haskel and Slaughter 2001; Acemoglu e altri 2011). Quindi la disoccupazione cresce per le persone che hanno bassa scolarità (The impact of new technologies on the labour market and the social economy, Ue, 2018 ).

La tecnologia facilita e rende possibile la connessione tra clienti e produttori. A partire da eBay, Amazon e Apple dalla metà degli anni ’90 in poi il consumatore ha acquistato fiducia nel mezzo digitale. Anzi talvolta una maggiore fiducia che nel rapporto diretto tra le persone, perché l’intermediario garantisce la qualità del servizio e l’eventuale inadempimento è sanzionato da un voto negativo di cui è parte l’intera comunità. E allora la valutazione del servizio è una qualità essenziale e indispensabile di ogni servizio intermediato dalla tecnologia. Nessuno di noi ha oggi alcun dubbio ad acquistare musica o una app dall’Apple Store o da altri simili servizi, un bene qualsiasi su eBay o su Amazon, e un genitore non si preoccupa se un proprio figlio accetta un passaggio su BlaBlaCar o usa Uber, e non si dubita che il pasto che è stato ordinato venga consegnato e che la casa che si è prenotata esista e corrisponda alla descrizione fornita. La piattaforma garantisce. E questo è un valore che non può essere dimenticato. Insomma, la tecnologia ha creato valore economico. Grazie ad Airbnb molta più gente può viaggiare creando reddito per quei proprietari di case che magari non riuscivano più a permettersi di mantenere quell’immobile, spostando anche il traffico turistico al di fuori dei consueti percorsi e distribuendo quindi ricchezza a ristoranti, negozi in aree cittadine, paesi o villaggi anche là dove prima non avevano mai visto un turista. Le cosiddette ride hailing app a New York hanno certamente ridotto l’attività dei taxisti, ma la somma delle corse di taxi pubblici e di quelle attraverso le app è molto superiore a quelle effettuate prima dai soli taxi pubblici (nel 2009 i taxi facevano 170,9 milioni di corse all’anno: nel 2017 sono diminuiti a 125. Le corse effettuate attraverso una app sono cominciate nel 2014 e in soli 3 anni sono passate da 4,5 a 159,9 milioni all’anno. La somma è quasi 285). L’innovazione ha fatto significativamente crescere il mercato molto rapidamente. E quindi ha indubbiamente creato più lavoro (Kenney, 2018).

Ma, si dice, è lavoro qualitativamente basso, senza diritti, perché non è lavoro subordinato. E si aggiunge: la dicotomia lavoro autonomo/subordinato non funziona più.

Soffermiamoci su questo secondo aspetto, cioè il valore e la attualità delle categorie codicistiche, autonomia/subordinazione. Dicotomia da lungo tempo messa in discussione: dal lontano 1973, con la definizione di «subordinazione tecnica» per disciplinare il lavoro a domicilio, fino all’ultima definizione del 2015, con la creazione delle ambigue e contraddittorie nozioni di etero-organizzazione o di «lavoro agile». Un aspetto è a mio parere insuperabile. Che piaccia o no, se è un prestatore di lavoro può decidere se e quando lavorare non potrà mai esserci un rapporto di lavoro subordinato.

Neppure la cosiddetta «dipendenza dall’algoritmo» può rappresentare un ostacolo alla qualificazione del rapporto come autonomo: l’algoritmo svolge la sua semplice funzione di rendere il servizio più efficiente tra coloro i quali si sono dichiarati disponibili, ma non c’è alcuna obbligazione a esserlo. Anche i taxisti aspettano in piazza la prossima corsa, alcuni giorni lavorano di più altre volte di meno. È così per tutti i lavoratori autonomi. E si badi non per una questione di esistenza o meno del rischio di impresa, concetto che non costituisce affatto un elemento essenziale della fattispecie “lavoro autonomo” (un esempio per tutti: l’avvocato è pagato anche se perde la causa il medico anche se il paziente muore).

E non costituisce neppure un vincolo tale da creare subordinazione la valutazione dei clienti del servizio ricevuto, che come abbiamo visto è un elemento essenziale per creare la fiducia nel consumatore, tanto da diventare un elemento essenziale e imprenscindibile del business.

Senza dimenticare che, in molti casi, la cosiddetta «piattaforma» non è il datore di lavoro o il committente di nessuno, per il semplice fatto che agisce come un mediatore tra domanda e offerta, percependo una provvigione da uno o da entrambi i contraenti. Favorisce semplicemente la stipulazione di un contratto tra due parti che ha messo in contatto come il codice civile ben descrive all’art. 1754.

Alla fine, credo che la questione sia risolvibile non introducendo misteriose ed equivoche ulteriori definizioni legislative, ma semplicemente introducendo un salario minimo per ogni tipo di lavoro, come avviene in altri Paesi. Negli Usa, per esempio, il minimo retributivo varia a seconda dello stato e della zona, dell’attività e della dimensione del datore di lavoro. Per dare un ordine di grandezza nel settore dell’ospitalità per le prime 40 ore a New York, la minimum wage è di 13 dollari, per un datore di lavoro che occupi più di 11 dipendenti. E si distingue, ad esempio se il lavoratore possa o meno incassare le mance. Per un’operatrice in un centro per le unghie, il minimo è 9,80 dollari se può incassare le mance, 13 dollari nel caso contrario.

Introdurre altri farraginosi limiti significherebbe condannare il Paese all’isolamento. E non credo proprio sia una buona idea.

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