Contrattazione

Tutele crescenti e contenziosi dimezzati, Jobs Act promosso dalle multinazionali

di Giorgio Pogliotti e Claudio Tucci

Una sensibile riduzione del contenzioso, crollato per oltre il 50%. Insieme ad una maggiore certezza delle norme, soprattutto in relazione alla prevedibilità dei costi della “separazione” tra azienda e lavoratore. Resta il nodo “costo del lavoro”, che – complice il peso degli oneri sociali - rimane un grosso ostacolo per investimenti e assunzioni.

Sono alcune delle indicazioni che arrivano dal campione di 160 aziende italiane ed estere operanti in Italia, oggetto del sondaggio promosso da De Luca & Partners per testare le opinioni sulla riforma del mercato del lavoro del 2015, dopo 3 anni (lo scorso 7 marzo). Tra i pregi della nuova normativa il campione di multinazionali ha indicato il «maggiore equilibrio nei diritti del datore di lavoro e dei lavoratori» (oltre il 30%), la «prevedibilità dei costi della “separazione” tra azienda e lavoratore» (30%), oltre il 15% troviamo la «chiarezza e semplicità delle norme» e la «promozione delle assunzioni e degli investimenti». Tra i fattori di ostacolo agli investimenti e alle assunzioni c’è anzitutto il «costo del lavoro», la «complessità della normativa»(50%), le «complessità burocratiche» (oltre il 40%), la «scarsa flessibilità in uscita del personale che beneficia della tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori» (oltre il 40%). Tra le novità normative della riforma del 2015, considerate “decisive” per nuove assunzioni e investimenti viene indicato il contratto a tutele crescenti (sfiora l’80%), l’abolizione dell’obbligo di indicare la causale per le assunzioni a tempo determinato del decreto Poletti (sfiora il 50%), la revisione del divieto di demansionamento (supera il 30%). Per oltre due terzi delle aziende intervistate il nuovo modello di conciliazione introdotto dal Jobs act ha ridotto il contenzioso giudiziario. «I dati del ministero di Giustizia – spiega Vittorio De Luca, managing partner – evidenziano tra il 2012 e il 2016 una riduzione di oltre il 50% del contenzioso nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo e del 71% per i licenziamenti disciplinari, per i contratti a termine in due anni il crollo è stato del 56%. Si è fatta chiarezza sulle norme che regolano la fine del rapporto di lavoro ed è stato ridotto l’ambito di applicazione della reintegra».

A sentire i responsabili del personale, come Raffaelle Maderna, a capo delle risorse umane di Lundbeck Italia Spa, la multinazionale farmaceutica danese presente in Italia con un centinaio di dipendenti, c’è ancora una conoscenza superficiale del Jobs act: «Molto spesso quando si parla delle nuove regole ci si focalizza quasi esclusivamente sui licenziamenti, che peraltro non stanno aumentando. Ritengo sia una prospettiva sbagliata. Tale flessibilità ha permesso ad aziende come la mia di incrementare le assunzioni stabili, spostando la scelta dalla somministrazione ai contratti a tempo indeterminato, riducendo l’impatto sul costo del lavoro, che in Italia rappresenta un macigno».

Il Jobs act è «ormai entrato nella normalità dei rapporti di lavoro, personalmente ritengo che tornare indietro e disapplicarlo per molti aspetti sia piuttosto problematico» sottolinea Emanuele Galtieri, vice presidente People, Communication & Ict di Elettronica Spa, impresa con sede a Roma (circa 750 dipendenti), che produce sistemi di difesa elettronica: «Continuiamo ad assumere con il contratto a tutele crescenti e il complesso di nuove regole si sta dimostrando importante per avvicinare la nostra azienda ai contesti internazionali dove operiamo costantemente». Analisi condivisa da Alessandro Merlino, direttore risorse umane di Lottomatica (1.700 dipendenti), del gruppo Igt (oltre 12mila dipendenti nel mondo) che opera nelle tecnologie e servizi per giochi e scommesse: «È stata introdotta maggiore flessibilità, abbiamo un menu di strumenti da utilizzare per l’offerta di occupazione – spiega – poi se esistono i presupposti organizzativi o di business, il contratto viene stabilizzato. C’è più certezza per le imprese e si è ridotto il contenzioso, soprattutto per i contratti a tempo determinato». Tra le criticità, Merlino indica l’apprendistato: «L’eccesso di burocrazia frena il ricorso allo strumento che dovrebbe rappresentare il canale principale d’ingresso nel mondo del lavoro, anche se dopo i chiarimenti sugli obblighi formativi c’è più certezza. Anche per effetto delle novità, prevediamo di utilizzare l’apprendistato di primo tipo per la qualifica e il diploma professionale».

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