Contrattazione

Contratto minato per le collaborazioni

di Aldo Bottini

I dati pubblicati da «Il Sole 24 Ore » il 13 marzo confermano un dato di esperienza, comune a chiunque operi “sul campo”: i contratti di collaborazione autonoma sono crollati. Nel 2017 ne sono stati attivati 397.727, contro i 686.859 del 2014. Un calo di oltre il 40%. E le cessazioni, anche nel 2017, hanno superato i nuovi contratti.

Il primo drastico calo nelle attivazioni (-206.940) si è verificato nel 2015 ed è stato il frutto della manovra “a tenaglia” operata dal Jobs act. Da un lato la promozione del lavoro subordinato, incentivato economicamente e reso più flessibile e meno “insidioso” (tutele crescenti e abolizione della causale nei rapporti a termine). Dall’altro la nuova norma di legge che applica la disciplina del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate (articolo 2 del Dlgs 81/2015). È lecito ritenere (anche con il conforto dei dati) che molte collaborazioni si siano trasformate in contratti di lavoro subordinato (anche se spesso a termine o in somministrazione) e che la tendenza sia stabile nel tempo.

Del resto, dopo il Dlgs 81/2015 il suggerimento di molti professionisti è stato di valutare con grande circospezione l’instaurazione di nuovi rapporti di collaborazione. Infatti l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato scatta, per le prestazioni continuative ed esclusivamente personali, ogni qual volta la prestazione venga organizzata dal committente quanto a tempi e luogo. La conseguenza pratica è che la presenza del collaboratore con regolarità presso gli uffici aziendali, o anche solo la necessità di eseguire la prestazione secondo precise cadenze temporali, potrebbero essere considerate forme di organizzazione imposte dal committente, come tali sufficienti ai fini dell’applicabilità della disciplina del lavoro subordinato, anche laddove la prestazione non sia eterodiretta.

Il carattere restrittivo della norma è testimoniato dalla previsione di eccezioni alla sua applicazione, per garantire la possibilità di continuare a utilizzare con maggiore libertà le collaborazioni coordinate e continuative in determinati settori. Ma al di là delle eccezioni, resta la difficoltà di individuare il discrimine tra etero-organizzazione (che fa scattare la subordinazione) e coordinamento (compatibile con l’autonomia).

Un tentativo di “aiuto” viene dal Jobs act degli autonomi, che ha riscritto l’articolo 409 del Codice di procedura civile. La nuova norma offre una definizione di coordinamento compatibile con la natura autonoma del rapporto, laddove stabilisce che il collaboratore organizza autonomamente la propria attività, ma può essere tenuto (senza pregiudizio per la natura autonoma del rapporto) a rispettare modalità di coordinamento «stabilite di comune accordo tra le parti». Quindi il coordinamento è compatibile con l’autonomia del rapporto solo se le sue modalità sono concordate, e non imposte dal committente.

E per dimostrare che tali modalità sono concordate non sembrerebbe esservi altro modo che ricomprenderle nel contratto iniziale, o in successivi accordi contrattuali. Ciò tuttavia non è esente da rischi: modalità di coordinamento troppo “stringenti”, messe nero su bianco, potrebbero essere ritenute di per sé prova (scritta) di uno sconfinamento nella subordinazione, e portare ad una riqualificazione per tabulas del rapporto. Senza contare che le previsioni contrattuali diventerebbero una sorta di binario rispetto al quale ogni scostamento presenterebbe rischi significativi.

Un terreno minato, insomma, che induce alla massima attenzione nella attivazione di collaborazioni coordinate e continuative. Il che costituisce un’ulteriore spiegazione del crollo di questa tipologia contrattuale.

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