Contrattazione

Sulla riforma dei contratti parti sociali al bivio

di Giorgio Pogliotti

Parti sociali al bivio sulla definizione di un nuovo quadro di riferimento per la contrattazione collettiva e le relazioni industriali. Il lavoro dei tecnici di Confindustria e Cgil, Cisl, Uil è finito; è stato definito un testo, ma manca ancora però un passaggio “politico” che avverrà a breve. Un incontro ad alto livello tra il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, e i leader sindacali servirà a valutare se esistono o meno le condizioni per raggiungere un’intesa prima delle elezioni del 4 marzo.

Sulla strada per l’accordo le resistenze arrivano dalla Cgil. La leader Susanna Camusso ha mosso alcune obiezioni di merito che riguardano temi importanti, in particolare il riferimento alla dinamica dei minimi contrattuali. Sulla posizione della confederazione di Corso d’Italia, tuttavia, incidono anche fattori “interni”: sta per aprirsi la stagione che porterà al congresso di novembre e Camusso vuole evitare di rompere l’unità interna, con quella parte della Cgil che ha ancora riserve e critiche su alcune parti dell’accordo.

L’intesa potrà servire alle parti per fissare alcuni “paletti” prima delle elezioni, per fronteggiare con una proposta congiunta sulla contrattazione il tema del salario minimo legale che trova un sostegno trasversale nei partiti. La nuova cornice di regole dovrebbe servire anche a contrastare il dumping contrattuale, quegli 868 contratti depositati al Cnel, considerati per due terzi “pirata”, cioè sottoscritti da organizzazioni prive di rappresentanza, con condizioni economiche e normative peggiorative rispetto ai contratti di settore. Per questo motivo le parti sono favorevoli ad introdurre il principio della misurazione della rappresentanza anche per le imprese, e ad una legge di sostegno per assicurarne la piena applicazione.

«Nel solo settore metalmeccanico il Cnel ha individuato 31 contratti collettivi - ha evidenziato il direttore dell’area Lavoro e Welfare di Confindustria, Piero Albini, intervenendo ieri a TuttoLavoro del Sole 24-ore- con un evidente svilimento di questo strumento. In questo contesto non basta fissare un salario minimo legale, perché con 800 contratti collettivi esistenti ce ne sarà sempre uno in grado di regolare dei settori non contrattualizzati. Se si vuole tenere in vita il contratto collettivo nazionale, allora si deve riconoscere validità a quello stipulato dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Solo in presenza di un accordo di questo tipo, lo Stato dovrebbe concedere benefici come gli sgravi contributivi alle aziende che lo applicano».

Quello definito nel testo dei tecnici è un modello contrattuale “flessibile”, non una gabbia, che conferma l’attuale sistema di due livelli (nazionale e aziendale o, in alternativa, territoriale), lasciando alle categorie ampia libertà, ad esempio nella definizione degli aumenti salariali ex post o ex ante.

Secondo lo schema individuato, il contratto nazionale svolge la funzione di regolazione dei rapporti di lavoro per tutti i lavoratori del settore e stabilisce il trattamento economico complessivo, che è costituito dal trattamento economico minimo (i minimi tabellari) e da tutti quei trattamenti economici (come le forme di welfare) che secondo il Ccnl si applicano a tutti i lavoratori.

A livello di contrattazione aziendale vengono riconosciuti i trattamenti economici legati a reali obiettivi di crescita della produttività. Le forme di welfare contrattuale e integrativo, producono un aumento del benessere e favoriscono la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche se serve un miglior coordinamento delle iniziative in corso.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©