Contrattazione

Sanità, l'indennità di pronta reperibilità va pagata anche per le ore non autorizzate

di Andrea Alberto Moramarco

Nel comparto sanitario, in presenza di ore di reperibilità prestate ma non autorizzate, l'ente datore ha comunque l'obbligo di retribuire tali prestazioni lavorative, potendosi rivalere nei confronti dei funzionari eventualmente responsabili dell'utilizzo improprio del personale durante l'orario di lavoro. Questo è quanto emerge dall'ordinanza 27797 della Sezione lavoro della Cassazione, depositata ieri, con la quale i giudici di legittimità hanno tracciato una linea di demarcazione tra il lavoro straordinario e la pronta reperibilità: il primo è un istituto di carattere eccezionale, la seconda è una prestazione «funzionale al pieno utilizzo del servizio pubblico», necessario per la «completa fruizione dello stesso da parte dei destinatari».


Il caso riguarda un dipendente della Seconda Università degli Studi di Napoli, in servizio presso una Azienda ospedaliera, il quale aveva chiesto all'ente universitario il pagamento dell'indennità di pronta disponibilità per le ore di lavoro da lui effettivamente prestate nel secondo semestre del 2005, ma svolte al di fuori del monte orario previsto e autorizzato dall'amministrazione competente. L'Università perciò si rifiutava di pagare, alla luce anche di presunte anomalie nella procedura autorizzatoria da parte dell'amministrazione competente, invocando l'articolo 7 del Ccnl integrativo del 1999, ai sensi del quale non sarebbe prevista la retribuzione per le ore di reperibilità non autorizzate.


La questione, dopo l'alternanza dei giudizi di merito, arriva a Palazzo Cavour, dove i giudici di legittimità bocciano la tesi dell'Università confermando la decisione della corte territoriale che già aveva avvalorato le ragioni del dipendente. La Cassazione, alla luce della normativa europea e nazionale, ricostruisce il quadro giuridico applicabile al lavoro straordinario nel comparto sanità e sottolinea il fatto che «la pronta reperibilità costituisce una prestazione strumentale, accessoria e qualitativamente diversa dalla principale, e consiste in un obbligo in capo al dipendente, di ritenersi prontamente rintracciabile fuori dall'orario di lavoro in vista di un'eventuale prestazione». Se, poi, tale attività è richiesta, il lavoratore ha diritto a un compenso «strettamente connesso alla penosità del lavoro in turni, e agganciato all'effettiva erogazione del servizio».


Il Collegio aggiunge, inoltre, che la disciplina di dettaglio della pronta reperibilità è rimessa alla contrattazione collettiva, la quale ha il compito di modulare i turni in modo tale da rendere l'orario di lavoro compatibile con la «continuità del servizio pubblico» e commisurato «alla funzionalizzazione dei servizi» della Pubblica amministrazione. Nella specie, l'articolo 7 del Ccnl integrativo del 1999 prevede che le stesse aziende predispongano un piano per l'erogazione di tali prestazioni, ma ciò, chiosano i giudici di legittimità, non può essere inteso quale assimilazione tra il lavoro straordinario e la pronta reperibilità. Si tratta, infatti, di due istituti finalizzati a esigenze obiettivamente diverse: il primo «ispirato alla logica del contenimento e alla funzionalizzazione delle prestazioni al determinarsi di insorgenti ed eccezionali esigenze aziendali»; il secondo volto a «organizzare servizi che normalmente non tollerano interruzioni.

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