Contrattazione

Contratti a termine, nodo sanzioni

di Angelo Zambelli

Le conclusioni rese dall’Avvocato Generale, Maciej Szpunar, nella causa C-494/16 pendente avanti alla Corte di giustizia europea confermano la bontà della soluzione adottata dal legislatore italiano con riguardo alle conseguenze sanzionatorie dell’illegittimo ricorso al contratto a termine da parte della Pubblica amministrazione, e tuttavia sembrano aprire nuovi scenari sul fronte del risarcimento spettante ai lavoratori.

La materia è particolarmente tormentata per via dell’evidente disparità di trattamento esistente tra le tutele a disposizione dei dipendenti pubblici rispetto ai lavoratori del settore privato.

Mentre questi ultimi, infatti, possono ambire alla “stabilizzazione” del rapporto, l’articolo 36 del Testo Unico sul pubblico impiego vieta espressamente che la violazione delle norme sul contratto a termine possa comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le amministrazioni datrici di lavoro.

Già nel 2006 (causa C-180/04), la Corte di giustizia europea ha ritenuto che tale disparità di trattamento non violasse il diritto comunitario, in quanto il legislatore è libero di prevedere conseguenze diverse tra il settore pubblico ed il settore privato, purché l’ordinamento preveda misure effettive per evitare e sanzionare l’utilizzo abusivo dei contratti.

Garantire l’effettività della tutela è compito riservato ai giudici nazionali, sul quale da ultimo sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di cassazione (pronuncia n. 5072 del 2016), stabilendo che il risarcimento a favore del dipendente pubblico debba comporsi di due voci: (i) un’indennità forfettaria attribuita a prescindere dalla prova di qualsivoglia danno, da quantificare (come avviene nel settore privato) fra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione; (ii) un risarcimento del danno da perdita di chances, subordinato alla prova a carico del lavoratore circa le occasioni di impiego alternative perdute a causa del rapporto a termine instaurato con l’amministrazione pubblica.

Con riferimento a tale sistema risarcitorio, l’Avvocato Generale rileva, per un verso, che l’onere della prova della perdita di chance potrebbe rendere eccessivamente difficile per il lavoratore l’esercizio dei propri diritti e, per altro verso, che la «sproporzione» fra la portata potenziale dell’abuso, il quale può avere avuto conseguenze per diversi anni, e l’indennità forfettaria in misura massima di 12 mensilità, sia idonea ad indebolire l’effetto deterrente delle misure sanzionatorie. Ferme tali precisazioni, nulla lascerebbe intendere «che i principi di effettività e di equivalenza non siano stati rispettati dalla normativa nazionale», spettando in ogni caso e di volta al giudice italiano «effettuare le verifiche finali a tal riguardo».

Nelle conclusioni sottoposte alla Corte di giustizia, l’Avvocato Generale propende, quindi, per la compatibilità della soluzione italiana con il diritto comunitario, ritenendo che possa essere a questo conforme una normativa che escluda la conversione del rapporto di lavoro nel settore pubblico (benché riconosciuta nel settore privato) prevedendo come «contropartita» sia un’indennità forfettaria compresa fra 2,5 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione, a condizione che tale indennità costituisca una «misura sufficientemente dissuasiva», sia la possibilità per il dipendente pubblico di chiedere la «riparazione del danno effettivamente subìto».

Tale compito risulta devoluto ai giudici nazionali, ai quali spetterà di assicurare l’effettività della tutela attraverso il risarcimento del danno da perdita di chance (ove provato dal lavoratore) e la determinazione dell’indennità in funzione della durata del ricorso abusivo ai contratti a tempo determinato «o tramite l’effetto combinato di qualsiasi altra misura sanzionatoria prevista nel diritto nazionale».

Le conclusioni dell'Avvocato generale della Corte ue

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