Contrattazione

Il target di 300mila assunti va verificato sul campo

Con la decontribuzione “piena” targata Jobs act in vigore nel 2015 sono stati firmati quasi 1,6 milioni di contratti a tempo indeterminato (fonte Inps). Di questi circa il 28% (poco più di 450mila) ha riguardato “under 30”. All’epoca lo sgravio era totale fino a 8.060 euro e durava per 3 anni per un costo cumulato per lo Stato di circa 18 miliardi.

Con l’intervento allo studio del Governo per incentivare, con la prossima legge di bilancio, gli “under 29”, che prevede due paletti più, ovvero il dimezzamento dell’incentivo con un tetto a 3.250 euro e il vincolo anti-licenziamento per le aziende (6 mesi), i tecnici dell’Esecutivo stimano una platea potenziale di 300mila assunzioni giovanili agevolate nel 2018. Sono tante o sono poche? La previsione appare ottimistica, anche perché la dote che il Governo sembra intenzionato a utilizzare è chiaramente inferiore (circa 1 miliardo il primo anno, 2-2,5 a regime) a quella impegnata nel 2015 per l’intervento “taglia-cuneo” che tra l’altro era libero dai vincoli non solo normativi ora ipotizzati. Va aggiunto, inoltre, che già oggi con il vigente bonus-Sud è presente il tetto dei 3.250 euro per tutte le assunzioni a tempo indeterminato (non solo giovani) e i numeri pur positivi (circa 70mila contratti agevolati fino a luglio) non sembrano sorreggere la previsione del Governo collegata al nuovo incentivo da far scattare nel 2018. A palazzo Chigi, comunque, sono convinti che il target dei “300mila” sia raggiungibile. Intanto perché si confermerebbero i 236mila “under 30” stabilizzati nel 2016 con la decontribuzione Jobs act al 40% a cui si aggiungerebbe un 25% in più per effetto della ripresa economia e della maggiore attrattività della nuova normativa. Che però è ancora tutta da dimostrare, come peraltro l’incremento - indicato a priori - del 25% di nuove assunzioni giovanili. Senza considerare, ancora, che i “300mila” ipotizzati al momento dal Governo non sarebbero effettivamente nuove assunzioni, ma teorici contratti incentivabili (ci potrebbero infatti essere sostituzioni di altre fasce d’età). Anche per questi motivi la strada più efficace da percorrere sembra essere quella di uno sgravio totale, senza tetti e di facile fruizione, come chiedono le imprese.

Il tutto, in ogni caso, dovrà essere nuovamente valutato in sede tecnica a partire dai primi di settembre. E non è da escludere che si riapra la partita anche sul posizionamento dell’asticella anagrafica (età più alta?) e della strutturalità della misura nel tempo.

Ma non è solo la questione “taglio del cuneo” a essere centrale nel dibattito delle prossime settimane. Anche le pensioni restano un tema caldo, nonostante il ministero dell’Economia abbia fatto chiaramente capire che non esistano margini per l’inserimento nella legge di bilancio di un vero pacchetto previdenza. Due soli sono i correttivi che, al momento, appaiono possibili, lo sconto contributivo di 2 o 3 anni alle donne per facilitare l’accesso all’Ape (Anticipo pensionistico) e l’incentivazione e la semplificazione della Rita (Rendita integrativa temporanea anticipata) con l’obiettivo di posare una sorta di “prima pietra” di quello che dovrà essere il processo per rendere maggiormente appetibile la previdenza integrativa.

Ma i sindacati non ci stanno. E lo ribadiranno nuovamente al ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, in occasione della riapertura dopo la pausa estiva del tavolo sulla cosiddetta “fase 2”. L’incontro è stato confermato ieri dal ministero del Lavoro per il giorno 30 agosto. E lì, Cgil, Cisl e Uil insisteranno nel chiedere lo stop al previsto innalzamento automatico nel 2018 dell’età pensionabile per effetto dell’adeguamento dell’aspettativa di vita.

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