Contrattazione

Dipendenti e compensi calmierati nel terzo settore

di Gabriele Sepio

Il nuovo Codice del terzo settore (Cts) procede a un complessivo riordino della disciplina del non profit e fornisce alcuni specifici chiarimenti in merito ai rapporti di lavoro all’interno degli enti del terzo settore (Ets) e al trattamento dei volontari.

Per quanto riguarda il primo aspetto, il Cts stabilisce che i lavoratori hanno diritto a un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nonché dai contratti collettivi aziendali stipulati dalle loro rappresentanze sindacali aziendali, ovvero da Rsu. Si prevede poi, in coerenza con le finalità di interesse generale perseguite dagli stessi Ets, che la differenza retributiva tra dipendenti non può essere superiore al rapporto uno a otto e che il rispetto di questo parametro deve essere evidenziato nel bilancio sociale o in quello di esercizio. Il rapporto di uno a otto non si estende alle collaborazioni diverse dal lavoro subordinato.

Tuttavia, a fini antielusivi, l’articolo 8, comma 1, lettera b, del Cts presume che si realizzi una distribuzione indiretta di utili (vietata agli Ets) qualora siano corrisposte retribuzioni ai dipendenti, oppure compensi di lavoro autonomo o per collaborazioni, superiori al 40% rispetto a quelli previsti, a parità di qualifica, dai contratti collettivi. Una possibilità di deroga è fatta salva per l’acquisizione di specifiche competenze finalizzate allo svolgimento di attività in ambito sanitario, di formazione universitaria o post-universitaria o di ricerca scientifica di particolare interesse sociale. In questo modo viene salvaguardata la competitività degli Ets sul mercato del lavoro e l’effettiva efficacia della loro azione sul piano dell’impatto sociale.

Inoltre è bene evidenziare che il Cts ammette la possibilità di assumere dipendenti o avvalersi di collaboratori anche per le organizzazioni di volontariato (Odv), nei limiti necessari al loro regolare funzionamento o per qualificare o specializzare l’attività svolta e purché il numero degli assunti non superi il 50% dei volontari. Lo stesso vale per le associazioni di promozione sociale (Aps), le quali peraltro potranno attingere anche dai propri associati, sempre che i lavoratori non eccedano il 50% dei volontari o il 5% degli associati. Sotto questo profilo, sembra corretto ritenere che questi limiti riguardino sia i rapporti di collaborazione sia quelli subordinati intrattenuti con Odv e Aps.

Passando alla figura dei volontari, è stabilito espressamente che questi ultimi non possano essere retribuiti in alcun modo, neanche dal beneficiario. Gli Ets, infatti, potranno soltanto rimborsare le spese sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni stabilite in via preventiva dall’ente stesso. Allo scopo, comunque, di consentire una certa flessibilità organizzativa, viene ammesso il rimborso delle spese autocertificate del volontario, purché le stesse non superino l’importo di 10 euro giornalieri e 150 euro mensili e l’organo sociale competente deliberi sulle tipologie di spese e attività cui è consentita questa modalità di rimborso.

Restano invece vietati rimborsi di tipo forfettario che potrebbero mascherare rapporti di lavoro e, soprattutto, viene sancita in modo esplicito l’incompatibilità della qualità di volontario con qualsiasi forma di rapporto lavorativo retribuito, evitando così indebite sovrapposizioni tra questi due ambiti.

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