Contrattazione

La collaborazione coordinata richiede sempre l’autonomia

di Daniele Colombo

Il Jobs act degli autonomi (legge 81/2017, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 135 del 13 giugno e in vigore dal 14 giugno) interviene nuovamente sui contratti di collaborazione, più volte interessati da modifiche negli ultimi anni, prima fra tutte l’abrogazione dei contratti a progetto (i co.co.pro), dal 25 giugno 2015.

Il legislatore ha ora inserito una precisazione all’articolo 409 n. 3 del Codice di procedura civile (articolo 15 della legge 81/2017). Non viene ritoccato, dunque, l’impianto normativo delle collaborazioni introdotto dal Dlgs 81/2015 (il cosiddetto Codice dei contratti) ma, a suo completamento, si chiarisce che la collaborazione coordinata sussiste tutte le volte in cui, nonostante le parti abbiano stabilito di comune accordo le modalità di coordinamento della prestazione, al collaboratore resta la libertà di organizzare la propria attività.

Questa precisazione è un “contrappeso” rispetto all’articolo 2, comma 1 del Dlgs 81/2015 che, nell’assimilare al lavoro subordinato le collaborazioni organizzate dal committente, aveva lasciato qualche dubbio sullo spazio da riservare alla collaborazione coordinata e continuativa prevista dall’articolo 409 del Codice di procedura civile.

Ci si trova dunque fuori dal campo dell’etero-organizzazione, che fa scattare la subordinazione – e quindi in presenza di co.co.co genuini – tutte le volte in cui le parti si accordino sulle modalità di reciproco coordinamento, lasciando comunque all’iniziativa autonoma del collaboratore la concreta attuazione delle modalità di svolgimento della prestazione.

E così, alle collaborazioni organizzate dal committente si applica la disciplina lavoro subordinato, mentre ai rapporti di collaborazione riconducibili al nuovo testo dell’articolo 409 n. 3 del Codice di procedura civile, si applicano le tutele per il lavoro autonomo.

Su questo punto la legge 81/2017 si pone nel solco tracciato dall’articolo 2 del Dlgs 81/2015 che, per evitare gli abusi sulle collaborazioni, già aveva previsto l’applicabilità della disciplina del rapporto di lavoro subordinato allorché queste fossero:
• continuative;
• esclusivamente personali;
• etero-organizzate (ossia organizzate dal committente) anche con riferimento al tempo e al luogo di lavoro.

Le deroghe
Nulla cambia, e dunque continuano a valere le deroghe al regime della subordinazione stabilite dall’articolo 2 del Dlgs 81/2015, per:
• le collaborazioni regolate dai Ccnl stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale, come ad esempio, quelle degli operatori di call center outbound;
• le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per cui è richiesta l’iscrizione a un albo;
• quelle degli organi di amministrazione e controllo delle società e dei partecipanti a collegi o commissioni;
• le collaborazioni rese per fini istituzionali in favore di associazioni e società sportive dilettantistiche in generale;
• le collaborazioni prestate nell’ambito della produzione e della realizzazione di spettacoli da parte delle fondazioni musicali.

La disciplina dell’articolo 2, comma 1 del Dlgs 81/2015 potrà essere neutralizzata anche nell’ambito delle procedure di certificazione dei contratti di lavoro prevista dall’articolo 76 del Dlgs 276/2003, ove le parti decidano di far certificare l’assenza nel contratto dei requisiti dell’esclusività personale, della continuità e dell’etero-organizzazione da parte del committente.

Le collaborazioni eliminate
Nel nuovo impianto normativo non trovano più spazio i contratti di collaborazione a progetto, le collaborazioni con durata inferiore a 30 giorni nell’anno solare e con un tetto massimo di 5mila euro di incasso (le «mini-cococo»), né quelle con ex dipendenti che percepiscono una pensione di vecchiaia. I rapporti con questi lavoratori dovranno dunque essere stipulati nel rispetto dell’articolo 2 del Codice dei contratti, pena l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

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