Contrattazione

Appalti, piena responsabilità solidale se passa il sì

di Claudio Tucci

Il disco verde della Consulta apre ora la strada al referendum in materia di appalti, che, attraverso l’ennesima modifica al decreto Biagi del 2003, punta a ripristinare la responsabilità solidale “piena” tra committente e appaltatore (negli appalti e subappalti privati - gli appalti pubblici restano, invece, esclusi dal quesito, e quindi dall’eventuale consultazione popolare, in quanto disciplinati da una normativa differente).

Il tema è piuttosto complesso e delicato. In punta di diritto, un eventuale ok alle urne comporterebbe un sostanzioso restyling dell’articolo 29, comma 2, del Dlgs 276, con l’effetto di cancellare, con un tratto di penna, le ultime modifiche fatte dal Parlamento nel 2012, frutto di un lungo e delicato lavorìo tecnico tra decisori politici e parti sociali, per attenuare questa “responsabilità oggettiva” in capo alle imprese committenti (di solito, medio-grandi), senza intaccare le tutele per i lavoratori nei casi di inadempimenti legati al rapporto d’impiego (essenzialmente, retribuzioni e contributi).

Va subito detto, tuttavia, che la disciplina della responsabilità solidale è già oggi vigente, e nei fatti estesa a tutta la catena degli appalti e subappalti (anche per “spronare” l’impresa committente a scegliere appaltatori seri e solvibili).

Il punto è che fino al 2012 il meccanismo era piuttosto confuso, con il lavoratore che, nella pratica, per far valere le proprie ragioni creditizie, chiamava in giudizio il solo committente, e non il suo datore di lavoro, cioè l’appaltatore. E così, finiva che l’impresa-madre, non potendo difendersi, era tenuta a pagare direttamente l’interessato, salvo poi agire in rivalsa nei confronti dell’appaltatore . A rendersi conto, indirettamente, delle criticità del meccanismo della responsabilità solidale, specie se estesa a tutta la catena degli appalti, fu per primo il decreto Bersani del 2006, che previde una procedura alternativa basata sull’acquisizione di documentazione attestante la regolarità contributiva, che, se attuata, avrebbe fatto venir meno la responsabilità solidale.

La norma fu poi abrogata prima di entrare in vigore perché eccessivamente complessa; ma l’idea di “alleggerire” la posizione del committente è stata ripresa dalla legge Fornero, e sono stati introdotti due correttivi: da un lato, è stato concesso alla contrattazione collettiva nazionale di derogare alla responsabilità solidale prevedendo metodi e procedure di controllo della regolarità degli appalti, sostitutivi appunto dalla responsabilità solidale; dall’altro è stato previsto l’obbligo per il lavoratore di chiamare in giudizio congiuntamente il suo datore e il committente, consentendo a quest’ultimo di chiedere il beneficio della preventiva escussione (il lavoratore deve agire in via esecutiva prima nei confronti dell’appaltatore, e solo successivamente, se incapiente, nei confronti del committente). Ebbene queste due modifiche legislative sono oggetto, oggi, del quesito referendario della Cgil, che chiede infatti di cancellarle, portando così le lancette indietro alla normativa del 2003 ed escludendo, inoltre, la possibilità per un Ccnl (un accordo con il sindacato a livello nazionale) di poter derogare la responsabilità solidale negli appalti (ma si lascia intatta la facoltà di ottenere la medesima deroga tramite i contratti aziendali e territoriali previsti dall’articolo 8 della legge Sacconi del 2011).

Per i lavoratori, se passassero questi correttivi, non cambierebbe nulla (visto che sono tutelati anche dal fondo di garanzia presso l’Inps che assicura le ultime tre retribuzioni e il Tfr maturato). Per le imprese, invece, spiega Arturo Maresca, ordinario di diritto del Lavoro alla Sapienza di Roma, «si tornerebbe nell’incertezza e a contenziosi incontrollabili e nei quali il committente non potrebbe neppure esercitare a pieno il diritto di difesa costituzionalmente garantito, non potendo, infatti, a fronte di una richiesta, per esempio, di pagamento dello straordinario o delle differenze per svolgere mansioni superiori, avere cognizione dei fatti costitutivi dei diritti vantati. Questo perché il committente non può controllare il dipendente dell’appaltatore, né ingerirsi nella gestione del rapporto di impiego, in quanto ciò determinerebbe l’illegittimità dell’appalto».

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