Contrattazione

Obblighi contributivi e retributivi: l’Inl apre al «doppio binario»

di Fabio Antonilli

La circolare 3 /2018 dell'Ispettorato nazionale del lavoro costituisce il più recente intervento degli organismi ispettivi sulla delicata materia dell'applicabilità dei contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Essa offre un interessante spunto di riflessione sulle problematiche che si pongono con riguardo al tema della selezione del contratto collettivo applicabile nell'ambito di categorie, o per meglio dire settori produttivi, in cui esistono una pluralità di contratti collettivi.
La circolare, nel riepilogare le normative di legge che scoraggiano i fenomeni di dumping contrattuale e promuovono l'applicazione di Ccnl sottoscritti da soggetti datoriali e sindacali dotati della maggiore rappresentatività comparata, cita in particolare l'articolo 1, comma 1, del Dl 338/1989 e l'articolo 2, comma 25, della legge n. 549/1995. Si tratta delle norme che dispongono che il trattamento economico stabilito dal contratto collettivo sottoscritto dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative a livello nazionale rappresenta il parametro di riferimento ai fini del calcolo della contribuzione dovuta agli istituiti previdenziali. Con un breve inciso l'Inl sottolinea che tale normativa è in grado di operare «indipendentemente dal Ccnl applicato ai fini retributivi».

In questo sintetico, quanto preciso, passaggio la circolare pare aprire a quell'orientamento della giurisprudenza di legittimità (ex plurimis Corte di cassazione 7781 del 2015; 6817 del 2003; 10374 del 2000; 12345 del 1999; 12721 del 1998) che ammette l'operatività del sistema del cosiddetto “doppio binario” in materia di obblighi contributivi e retributivi.
Tale «sistema» consente ad un’impresa di riconoscere al proprio personale dipendente i minimi retributivi del Ccnl che liberamente sceglie di applicare, fermo restando il rispetto degli oneri contributivi relativi all'attribuito inquadramento Inps da conteggiarsi sui minimi salariali di un diverso Ccnl, quello che per gli istituti previdenziali viene considerato il Ccnl leader sulla base della natura giuridica dell'impresa.

La normativa del 1989 – si precisa in una di queste sentenze – non ha inteso rendere obbligatoria, nel suo complesso, la parte normativa del Ccnl preso a riferimento, ma solo indicare il criterio selettivo per individuare la «retribuzione contributiva, cioè quella su cui versare le contribuzione». Sulla scorta di ciò – ad esempio - un'impresa classificata come «industriale» potrebbe applicare le tabelle del Ccnl commercio o artigianato ai fini retributivi e soddisfare gli oneri sociali verso l'Inps applicando le tabelle del Ccnl industria di categoria.

Secondo questo filone giurisprudenziale la scelta del contratto collettivo rientra nell'autonomia privata, non operando nel nostro ordinamento (post-corporativo) l'articolo 2070 del Codice civile, secondo cui il datore di lavoro deve applicare la regolamentazione contrattuale del settore corrispondente a quello dell'attività che svolge. Pertanto, egli non può essere obbligato ad applicare un determinato contratto collettivo, se non per appartenenza sindacale all'associazione datoriale che lo ha sottoscritto.

La coerenza con il settore produttivo può, invece, rilevare, nel senso che è in grado di rendere applicabile il Ccnl preso a riferimento per le obbligazioni previdenziali, in via equitativa –ossia con riferimento ai parametri di cui al primo comma dell'articolo 36 della Costituzione - quando la retribuzione concordata risulti inadeguata rispetto alla mansione, alla professionalità, all'orario di lavoro, eccetera.

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