Contenzioso

Rider lavoratori dipendenti perché decide tutto l’algoritmo

di Giampiero Falasca

I rider delle piattaforme di food delivery devono essere qualificati come lavoratori subordinati, se la loro prestazione viene interamente organizzata dall’algoritmo: con questo principio la sentenza 7283/2020 del Tribunale di Palermo (si veda il Sole 24 Ore di ieri) segna un altro colpo di scena nella lunga e complicata vicenda dei ciclofattorini.

La causa era stata avviata da un rider che era stato disconnesso contro la sua volontà dalla piattaforma con cui collaborava e aveva impugnato questa condotta come licenziamento orale, chiedendo anche che fosse accertata la natura subordinata del rapporto di lavoro.

La sentenza ha accolto il ricorso partendo dalla considerazione che le piattaforme digitali non si limitano a mettere in contatto l’utenza, svolgendo una attività di mera intermediazione, ma svolgono una vera e propria attività di impresa che ha come oggetto la distribuzione di cibo e bevande a domicilio (viene richiamata la sentenza della Corte di giustizia Ue C-434/15). Ma se possono considerarsi imprese, si apre la possibilità che i suoi collaboratori lavorino per conto delle stesse, mediante un rapporto di lavoro autonomo o subordinato.

Il Tribunale di Palermo mostra consapevolezza del fatto che la giurisprudenza italiana (tra tutte, la pronuncia della Corte di cassazione 1663/2020) ha finora escluso che i rider possano qualificarsi come lavoratori subordinati, in ragione del fatto che possono scegliere se e quando lavorare.

Tuttavia, secondo il giudice palermitano, queste pronunce hanno commesso l’errore di valutare solo un segmento del rapporto di lavoro con la piattaforma - quello iniziale – mentre hanno omesso di analizzare l’altro segmento, la fase esecutiva della prestazione.

Rispetto a questo profilo, il Tribunale rileva che, sulla base delle concrete modalità di svolgimento del rapporto, - il rider aveva collaborato in maniera continuativa con la piattaforma e il suo lavoro era stato gestito e organizzato dal sistema – deve ritenersi che la libertà di scegliere se e quando lavorare non è reale, ma solo apparente e fittizia. In particolare, secondo il giudice, il rider può solo scegliere di prenotarsi per i turni che il sistema mette a sua disposizione in ragione del suo punteggio, ma per il resto è soggetto al potere organizzativo della piattaforma, così come è passibile di conseguenze disciplinari in caso di eventuali mancanze o per il calo del suo rendimento.

Le modalità di assegnazione degli incarichi di consegna da parte dell’algoritmo, inoltre, costringono il lavoratore a essere a disposizione del datore di lavoro nel periodo di tempo antecedente l’assegnazione, mediante la connessione all’app con il cellulare carico e la presenza fisica in luogo vicino quanto più possibile ai locali partner della piattaforma, realizzando così una condotta tipica della subordinazione.

Sulla base di queste considerazioni, la sentenza riqualifica il rapporto come una forma di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, con mansioni di ciclofattorino collocate al sesto livello del Ccnl terziario, distribuzione e servizi (il Ccnl già applicato dall’azienda ai propri dipendenti), e riqualifica anche il distacco come licenziamento illegittimo (sanzionato con la reintegrazione sul posto di lavoro).

Questa pronuncia resta minoritaria rispetto all’orientamento cristallizzatosi nella ricordata pronuncia della Corte di cassazione, ma testimonia l’esistenza di un problema, quello della compatibilità tra il lavoro della Gig economy e i modelli classici di qualificazione del rapporto. Problema che difficilmente troverà una soluzione definitiva nelle aule di tribunale.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©