Contenzioso

Licenziamento per giusta causa

a cura di Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

Inadeguatezza all'incarico e licenziamento per giusta causa del dirigente
Sulla tempestività della contestazione disciplinare
Licenziamento per giusta causa
Controlli a distanza cd. difensivi
Sostituzione di lavoratori in sciopero

Inadeguatezza all'incarico e licenziamento per giusta causa del dirigente

Cass. Sez. Lav. 9 maggio 2018, n. 11159

Pres. Nobile; Rel. Marotta; P.M. Matera; Ric. M.F.; Controric. M.G. S.p.A.;

Lavoro Subordinato – Dirigente – Licenziamento per giusta causa – Inadeguatezza all'incarico ricoperto – Legittimità – Principio di immutabilità della contestazione – Requisiti – Insussistenza.

Il licenziamento del dirigente d'azienda, ove basato su ragioni concernenti la sua persona ed il suo contegno, ben può essere giustificato dalla inadeguatezza rispetto all'incarico ricoperto e ad aspettative riconoscibili ex ante.
La violazione del principio di immutabilità della contestazione non può essere ravvisata in ogni ipotesi di divergenza tra i fatti posti a base della contestazione iniziale e quelli che sorreggono il provvedimento disciplinare, ma solo nel caso in cui tale divergenza comporti in concreto una violazione del diritto di difesa del lavoratore, per essere intervenuta una sostanziale modifica del fatto addebitato che si realizza quando il quadro di riferimento sia talmente diverso da quello posto a fondamento della sanzione da menomare concretamente il diritto di difesa.

NOTA
Un dirigente con mansione di direttore della qualità veniva licenziato per giusta causa sulla base di due contestazioni disciplinari. Con la prima lettera gli veniva addebitato di aver autorizzato la verniciatura di strutture metalliche in ambienti attigui al reparto di imbottigliamento, senza valutare i rischi connessi all'utilizzo di materiali inquinanti che avevano poi determinato la contaminazione del prodotto, di aver malamente gestito la crisi di qualità e di aver omesso un tempestivo intervento che avrebbe potuto limitare i danni, anche di immagine, sofferti dall'azienda.
In tale occasione, il dirigente veniva sospeso in via cautelare, al fine di consentire le indagini necessarie ad accertare gli addebiti contestatigli e le relative responsabilità.
Dopo circa un mese e mezzo, la società contestava al dirigente il contenuto ingiurioso e minaccioso di una lettera inviata ad un fornitore nonché di aver intrattenuto rapporti di consulenza con altre aziende.
Un mese dopo la seconda lettera di contestazione disciplinare, la società recedeva per giusta causa dal rapporto di lavoro. Nella lettera di licenziamento, in replica alle giustificazioni del lavoratore che aveva negato di aver autorizzato la verniciatura, si faceva presente che tali lavori erano stati seguiti e coordinati dallo stesso dirigente, anche mediante sopralluoghi.
Il Tribunale di Melfi, con sentenza poi confermata dalla Corte d'Appello di Potenza, rigettava la domanda di illegittimità del licenziamento.
Il dirigente ricorreva in Cassazione; il datore di lavoro resisteva con controricorso.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso principale, ritenendo inammissibili buona parte dei relativi motivi ed infondato quello attinente alla pretesa violazione del principio di immutabilità della contestazione disciplinare.
Sotto tale profilo, la Suprema Corte ha ribadito al principio di diritto secondo cui la violazione del principio di immutabilità della contestazione non può essere ravvisata in ogni ipotesi di divergenza tra i fatti posti a base della contestazione iniziale e quelli che sorreggono il provvedimento disciplinare, ma solo nel caso in cui tale divergenza comporti in concreto una violazione del diritto di difesa del lavoratore, per essere intervenuta una sostanziale modifica del fatto addebitato che si realizza quando il quadro di riferimento sia talmente diverso da quello posto a fondamento della sanzione da menomare concretamente il diritto di difesa. La Corte ha quindi escluso che, nel caso di specie, si fosse verificata una violazione del diritto di difesa del dirigente, in quanto la precisazione contenuta nella lettera di licenziamento costituiva semplicemente una replica alle giustificazioni del dirigente, finalizzata a corroborare e confermare l'addebito iniziale di aver autorizzato i lavori di verniciatura, senza adottare le necessarie cautele.
La Suprema Corte, infine, ha confermato la legittimità del licenziamento in ragione della superficialità e inadeguatezza dimostrata dal dirigente nella gestione del caso di inquinamento, in applicazione del principio di diritto (già affermato in Cass. 797/2017; Cass. 25145/2010 e Cass. 15496/2008) secondo cui il licenziamento del dirigente, ove basato su ragioni concernenti la sua persona ed il suo contegno, ben può essere giustificato dalla inadeguatezza rispetto all'incarico ricoperto e ad aspettative riconoscibili ex ante.

Sulla tempestività della contestazione disciplinare

Cass. Sez. Lav. 22 marzo 2018, n. 7208

Pres. Manna; Rel. Lorito; P.M. Mastroberardino; Ric. I.I. S.p.A.; Controric. B.M.;

Lavoro subordinato - Licenziamento individuale - Giusta causa - Principio dell'immediatezza della contestazione - Natura - Carattere relativo dell'accertamento - Contenuto - Fattispecie.

Il principio dell'immediatezza della contestazione dell'addebito, che si configura quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, deve essere inteso in senso relativo, dovendosi tenere conto della specifica natura dell'illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l'espletamento delle indagini, maggiore quanto più è complessa l'organizzazione aziendale.

NOTA
Il caso di specie riguarda il licenziamento di un lavoratore per giusta causa, avente ad oggetto l'indebito utilizzo da parte di quest'ultimo di una autovettura aziendale, in assenza della necessaria autorizzazione datoriale, per un periodo di 4 giorni non continuativi, durante i quali il lavoratore era risultato assente a vario titolo (malattia, festività, ferie, permessi).
Il licenziamento veniva dichiarato illegittimo sia in primo che secondo grado. In particolare, la Corte d'Appello di Roma giungeva a tale conclusione rilevando sia la mancanza di tempestività della contestazione disciplinare, formulata nel novembre 2011 - mentre l'indebito utilizzo dell'autovettura era avvenuto tra i mesi di gennaio e giugno 2011 -, sia la non conformità del licenziamento al canone di proporzionalità.
La Corte di Cassazione, adita dalla Società, ha concluso per il rigetto del ricorso, rilevando innanzitutto che il principio di tempestività della contestazione disciplinare ha due obiettivi, poiché, accanto alla fondamentale funzione di garantire il diritto di difesa del lavoratore - agevolato nell'addurre elementi di giustificazione a breve intervallo di tempo dall'infrazione -, vi è quella di non perpetuare l'incertezza sulla sorte del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n.16683/2015). L'immediatezza del provvedimento espulsivo rispetto agli addebiti contestati si configura, infatti, quale elemento costitutivo del diritto al recesso del datore di lavoro, in quanto la non immediatezza della contestazione o del provvedimento espulsivo induce ragionevolmente a ritenere che il datore di lavoro abbia soprasseduto al licenziamento ritenendo non grave o comunque non meritevole della massima sanzione la colpa del lavoratore.
In ogni caso, detto requisito va inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, quando l'accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della struttura organizzativa dell'impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo (ex aliis, cfr. Cass. n.1248/2016).
Ebbene, prosegue la Corte, nel caso di specie il giudice di merito ha correttamente applicato tali principi nel momento in cui, con motivazione adeguata ed esente da vizi di carattere logico-giuridico, ha chiarito i motivi per i quali doveva ritenersi non tempestiva la contestazione disciplinare, in considerazione del lasso di tempo intercorso rispetto agli addebiti contestati al lavoratore.
Infine, la Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la valutazione svolta dal giudice di merito anche con riferimento al principio di proporzionalità, ribadendo che gli addebiti contestati fossero di natura non grave, sia da un punto di vista oggettivo che sotto il profilo soggettivo, e come tali inidonei a fondare non solo un licenziamento per giusta causa ma anche un licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Per tali motivi, come anticipato, la Corte di Cassazione ha concluso per il rigetto del ricorso.


Licenziamento per giusta causa

Cass. Sez. Lav. 16 maggio 2018, n. 11999

Pres. Nobile; Rel. Boghetich; Ric. M.R.; Controric. C.T.V. S.R.L.;
Licenziamento per giusta causa – Registrazione occulta di una conversazione telefonica - Legittimità

La registrazione di conversazioni tra presenti all'insaputa dei conversanti configura una grave violazione del diritto alla riservatezza nonché dei principi di buona fede e correttezza e legittima, pertanto, l'intimazione del licenziamento per giusta causa.

NOTA
La Corte di Appello di L'Aquila, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale di Chieti, liquidava diversamente le spese del giudizio di primo grado, mentre confermava la pronuncia impugnata nella parte in cui aveva accertato la legittimità del licenziamento intimato al dipendente per aver occultamente registrato una riunione aziendale ed una conversazione telefonica tra il proprio superiore gerarchico ed altro dipendente, e per aver successivamente utilizzato tali registrazioni al fine di sporgere querela nei confronti del primo.
A supporto della propria decisione la Corte territoriale rilevava che il licenziamento impugnato dovesse considerarsi legittimo sia sotto il profilo formale, in quanto erano stati rispettati i termini previsti dalla normativa contrattuale per l'irrogazione del provvedimento espulsivo, sia nel merito, atteso che la condotta contestata integrava una grave violazione dei principi di buona fede e correttezza.
La Corte territoriale rilevava infine che il lavoratore non aveva adeguatamente allegato, né dimostrato la realizzazione ad opera dell'azienda di un preteso comportamento di mobbing nei suoi confronti, asseritamente consistito nel trasferimento dello stesso ad altro magazzino.
Avverso tale pronuncia proponeva ricorso il lavoratore fondato su quattro motivi.
In particolare, il dipendente denunciava violazione e falsa applicazione di norme di legge nonché vizio di motivazione, ritenendo che la Corte territoriale non avesse tenuto conto dell'efficacia scriminante dell'esercizio del diritto di difesa, atteso che la condotta posta in essere dal lavoratore era scaturita dal comportamento ingiurioso, penalmente sanzionabile, tenuto dal superiore gerarchico dello stesso in occasione della conversazione telefonica oggetto di registrazione e nel corso di una riunione aziendale. Con riferimento alla denunciata condotta di mobbing, il ricorrente rilevava, inoltre, che la Corte territoriale aveva omesso di considerare elementi decisivi, quali ad esempio la carica di consigliere comunale rivestita dal dipendente, che ne avrebbe dovuto impedire il trasferimento.
Il ricorrente impugnava, altresì, la pronuncia di secondo grado nella parte in cui i giudici di appello avevano ritenuto rispettati i termini per l'irrogazione del provvedimento espulsivo, rilevando il carattere perentorio del termine previsto dalle parti collettive per la conclusione del procedimento disciplinare, e l'inscindibilità del procedimento notificatorio.
La Suprema Corte rigettava il ricorso.
Con riferimento all'osservanza dei termini per l'irrogazione del provvedimento espulsivo la Suprema Corte ha osservato che il termine per la conclusione del procedimento disciplinare dettato dalla contrattazione collettiva è finalizzato a garantire la certezza delle situazioni giuridiche, con la conseguenza che è sufficiente che il datore di lavoro abbia tempestivamente manifestato la volontà di irrogare la sanzione entro il termine previsto, a nulla rilevando che quest'ultima sia portata a conoscenza del lavoratore successivamente alla scadenza del predetto termine (cfr. Cass. 13 settembre 2017, n. 21260; Cass. 20 marzo 2015, n. 5714; Cass. 10 settembre 2012, n. 15102; Cass. 4 ottobre 2010, n. 20566; Cass. 5 aprile 2001, n. 5093).
Sotto altro profilo, la Suprema Corte ha rilevato che la sentenza impugnata doveva considerarsi immune dai vizi logico-formali denunciati dal ricorrente, atteso che nella stessa si era dato esaustivamente conto del comportamento intenzionale posto in essere dal dipendente, adottato in totale spregio dei doveri di riservatezza connessi all'obbligo di fedeltà, e tale, pertanto, da integrare una grave violazione dei principi generali di correttezza e di buona fede, oltre che del diritto di riservatezza dei colleghi. Con riferimento all'asserita condotta mobbizzante consistita nel trasferimento ad altro magazzino, la Suprema Corte ha rilevato che non erano state dedotte specifiche censure in relazione al rispetto dei limiti posti dall'art. 2103 c.c., né era stata fornita prova della pretesa dequalificazione professionale subita dal dipendente.
La Suprema Corte ha conclusivamente rilevato che, come già affermato in propri precedenti conformi resi in relazione ad analoghe fattispecie, la registrazione di conversazioni tra presenti all'insaputa dei conversanti configura una grave violazione del diritto alla riservatezza, con conseguente legittimità del licenziamento intimato (cfr. Cass. 8 agosto 2016, n. 16629; Cass. 21 novembre 2013, n. 26143).

Controlli a distanza cd. difensivi

Cass. Sez. Lav. 28 maggio 2018, n. 13266

Pres. Manna; Rel.Patti; Ric. F.C.; Controric. K. s.p.a.;

Controlli a distanza - Comportamenti illeciti del dipendente estranei all'esecuzione della prestazione - Autorizzazione Ispettorato - Necessità - Esclusione

In tema di controllo del lavoratore, le garanzie procedurali imposte dall'art. 4 L. 300 del 1970 (nella versione antecedente la formulazione disposta dall'art. 23 del d. Lgs. n. 151 del 2015) trovano applicazione anche in presenza di controlli c.d. difensivi, ossia diretti ad accertare comportamenti illeciti dei lavoratori, quando tali comportamenti riguardino l'esatto adempimento delle obbligazioni discendenti dal rapporto di lavoro e non, invece, quando riguardino la tutela di beni estranei al rapporto stesso.

NOTA
La Corte d'Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, ha rigettato l'impugnativa del licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato ad un dipendente cui era stato contestato di aver utilizzato il computer aziendale per finalità extralavorative (videogiochi). Avverso tale decisione la società ha proposto ricorso per Cassazione, censurandola sotto numerosi profili tra cui la violazione dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, coglie l'occasione per ribadire una serie di principi consolidati in tema di controlli a distanza. Premesso che la fattispecie ricade nell'ambito della disciplina ante Jobs Act, con il principio di cui alla massima la Cassazione si richiama espressamente a recenti precedenti (Cass. 1 settembre 2017 n. 26682; Cass. 2 maggio 2017 n. 10636; Cass. 5 ottobre 2016 n. 19922). Vengono richiamate le finalità perseguite dalla normativa dei controlli a distanza, volta a limitare le manifestazioni del potere organizzativo e direttivo del datore di lavoro, che siano lesive, per le modalità di attuazione incidenti nella sfera della persona, della dignità e della riservatezza del lavoratore sul presupposto del mantenimento della vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria nell'organizzazione produttiva, in una dimensione umana, non esasperata dall'uso di tecnologie che possano renderla continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro (Cass. 17 luglio 2007 n. 15982; Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722; Cass. 27 maggio 2015, n. 10955). La Corte ricorda, poi, che occorre effettuare un non sempre agevole bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle irrinunziabili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, con un contemperamento che non può prescindere dalle circostanze del caso concreto (Cass. 1 novembre 2017, n. 26682). Ciò in coerenza con i principi dettati dall'art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, in base al quale nell'uso degli strumenti di controllo deve individuarsi un giusto equilibrio fra i contrapposti diritti sulla base dei principi della “ragionevolezza” e della “proporzionalità” (Cedu 12 gennaio 2016, Barbulescu c. Romania). Secondo la Corte, quindi, è fuori dal campo di applicazione dell'art. 4 Statuto dei lavoratori il caso in cui il datore abbia posto in essere verifiche dirette ad accertare comportamenti del prestatore illeciti e lesivi del patrimonio e dell'immagine aziendale, e ciò tanto più se si tratti di controlli posti in essere ex post, ovvero dopo l'attuazione del comportamento addebitato al dipendente, quando siano emersi elementi di fatto tali da raccomandare l'avvio di un'indagine retrospettiva (Cass. 23 febbraio 2012, n. 2722), così da prescindere dalla pura e semplice sorveglianza sull'esecuzione della prestazione lavorativa degli addetti.
Alla stregua di tali principi la Cassazione rigetta il ricorso, avendo la Corte d'Appello correttamente escluso la violazione delle garanzie previste dall'art. 4 dello Statuto dopo aver accertato che il controllo da parte del datore era finalizzato esclusivamente ad accertare mancanze specifiche del lavoratore nell'impiego del computer per finalità extra-lavorative.


Sostituzione di lavoratori in sciopero

Cass. Sez. Lav. 22 maggio 2018, n. 12551

Pres. Nobile; Rel. Balestrieri; P.M. Ceroni; Ric. T. S.p.A.; Controric. O.S.
Lavoro subordinato - Associazioni sindacali - Sciopero - Assegnazione del personale in servizio di qualifica superiore alle mansioni inferiori del personale in sciopero - Condizioni - Limiti - Condotta antisindacale - Configurabilità - Fattispecie

Nel caso di proclamazione di uno sciopero da parte delle organizzazioni sindacali di categoria, il datore di lavoro, nell'intento di limitarne le conseguenze dannose, può disporre l'utilizzazione del personale rimasto in servizio, con l'assegnazione a mansioni inferiori, solo ove tali mansioni siano marginali e funzionalmente accessorie e complementari rispetto a quelle proprie dei lavoratori assegnati, sicché ove tale limite venga disatteso in violazione dell'articolo 2103 c.c., la condotta è antisindacale anche se sussiste compatibilità tra le mansioni inferiori e la pregressa professionalità dei sostituti, assicurando detta norma il mantenimento del livello di professionalità acquisito.

NOTA
La Corte di Appello di Firenze, in riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava l'antisindacalità del comportamento tenuto dalla società che, in occasione di uno sciopero, aveva impiegato dipendenti non scioperanti con qualifica di quadro in mansioni inferiori.
Avverso la sentenza della Corte di Appello proponeva ricorso in Cassazione la società contestando l'irrilevanza, ex art. 2103 c.c., di mansioni espletate in via marginale od occasionale ed evidenziando che l'adibizione a mansioni inferiori in sostituzione degli scioperanti per uno o più giorni intervallati, non poteva considerarsi illegittima.
La Suprema Corte ha rigettato il ricorso.
Per la Cassazione, in caso di sciopero, il comportamento antisindacale può escludersi solo se il datore di lavoro - nell'intento di limitare le conseguenze dannose - utilizzi il personale rimasto in servizio per svolgere mansioni inferiori che siano marginali, funzionalmente accessorie e complementari a quelle della posizione dei lavoratori così assegnati. D'altra parte, laddove risulti mancare il carattere di marginalità ed accessorietà, la condotta del datore di lavoro deve considerarsi lesiva dell'interesse collettivo del sindacato per aver fatto ricadere sui lavoratori non scioperanti gli effetti negativi dello sciopero attraverso il compimento di atti illegittimi perché posti in essere in violazione dell'art. 2103 cod. civ.
Con particolare riferimento al caso in esame, per la Cassazione era stato correttamente accertato dal Tribunale che le mansioni inferiori svolte dai dipendenti con qualifica di quadro in sostituzione degli scioperanti non furono né accessorie o complementari, né marginali ed i dipendenti presenti erano stati impiegati per intere giornate e più volte nella sostituzione di personale in sciopero avente qualifica palesemente inferiore.

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